L’intervento di Short conferisce autonomia estetica all'alterazione della corrispondenza tra originale e copia provocata da una inadeguatezza tecnica che di solito, nella fotocopiatura di un testo o di un'immagine, è considerata un effetto indesiderato. L'artista affida il processo di composizione dell’immagine alla macchina fotocopiatrice e limita il suo intervento creativo alla scelta del taglio e del formato dell'immagine. Già Gerhard Richter apprezzava le alterazioni tecniche involontarie, come la sfocatura di una fotografia, e le innalzava a mezzo stilistico della sua pittura. La pittura di Short arriva a prendere come soggetto proprio gli errori, le macchie generate dal pulviscolo sulla superfice di vetro della macchina e dunque gli effetti non previsti delle tecniche di riproduzione. Sia Richter che Short impiegano, inoltre, un dispositivo come l'episcopio per proiettare con assoluta fedeltà tali immagini sulla tela, evitando così ogni soggettività e costruzione creativa del motivo.
Tale approccio può essere analizzato alla luce delle riflessioni di Walter Benjamin nel suo celebre saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Il tema della perdita dell'aura dell'opera d’arte è affrontato da Short ribaltando i termini del discorso: è la macchina che fornisce il modello per l'opera d'arte, la quale acquisisce la propria aura di originalità e unicità sulla base di un errore nel procedimento meccanico che viene sublimato sotto forma di pittura. Le opere di Short possono quindi essere interpretate come una sorta di necrologio per la cosiddetta era analogica, in cui una copia prodotta meccanicamente non è mai identica all'originale come è invece nel caso delle immagini digitali.