La serie Portraits nasce nel 1999 con il ritratto di re Enrico VIII d'Inghilterra, ispirato all'opera del pittore olandese Hans Holbein; come dice lo stesso Sugimoto, l'intenzione è quella di diventare "the first sixteenth-century photographer". La serie è poi proseguita con soggetti diversi, come celebri personaggi della contemporaneità entrati a far parte dell'immaginario collettivo, come il lider máximo cubano Fidel Castro o papa Giovanni Paolo II.
Le opere non sono i ritratti dei soggetti originali ma di sculture in cera che li riproducono nel modo più iperrealista possibile. Le figure sono illuminate da una fonte di luce diretta e si stagliano con forza su uno sfondo nero in modo estremamente teatrale, riprendendo pose tipiche dei personaggi ma isolandole da qualsiasi contesto ed esaltando così il loro effetto di icone, più che di esseri umani.
Per queste opere Sugimoto non utilizza il suo tipico formato 50 x 60 cm. Tuttavia esse si pongono in continuità con la sua peculiare concezione della natura della fotografia e del suo rapporto con la storia e il tempo. Qui egli avvia una riflessione sul ritratto e sul processo di traduzione di un'immagine attraverso media diversi, esaltando il problematico "effetto di realtà" della riproduzione fotografica.
Guardando con attenzione si possono notare piccole sproporzioni fra le parti del corpo o strani effetti di luce dovuti al suo riflettersi sulla cera e non su pelle vera. Queste immagini tuttavia ci inducono a guardarle come facciamo con le altre fotografie, cioè pensando al soggetto reale che ritraggono, divenendo quindi paradossalmente più "vere" delle statue in cera che costituiscono i loro reali soggetti. Diversi livelli di riproduzione sono in gioco: dal soggetto originale a una prima fotografia servita da modello per la statua di cera che poi Sugimoto ha ritratto nella sua opera fotografica. II nostro sguardo è fortemente attratto dalla straordinaria eleganza e cura estetica delle opere, in cui emergono le magnifiche capacità tecniche di Sugimoto e la sua tipica, infinita ricchezza di sfumature di bianchi, grigi e neri. Nonostante ciò, queste opere rimangono decisamente fredde da un punto di vista emotivo. Sono una riflessione concettuale sull'idea stessa del ritratto e sul suo valore politico o culturale di icona dei personaggi rappresentati, rinunciando esplicitamente a una visione realistica dei personaggi che hanno per soggetto.
L'artista sembra far collassare il senso del tempo naturale ed esaltare quello assoluto. Arriva a una condizione di equilibrio tra vita e morte che è tipica della fotografia ma anche del genere del ritratto, in cui ciò che conta non è la realtà o la vita del soggetto ma il suo valore come immagine in sé, al di là del tempo e della vita ordinaria.