Nathalie Djurberg

Once Removed on My Mother’s Side, 2008
Clay animation, video, 6’00’’
Sound by Hans Berg
Fondazione Prada, Milano
Photo courtesy l’artista e / the artist and Fondazione Prada, Milano



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Nathalie Djurberg racconta storie. Per farlo, crea film con la tecnica di ripresa detta stop-motion: le figure, realizzate prevalentemente in plastilina, vengono messe in posa, fotografate e poi di volta in volta leggermente spostate, in modo da ottenere il movimento durante la sequenza video. Le sue opere fanno trasparire un intenso rapporto con la materia, un lavoro manuale che si snoda per lunghi periodi nell’intimità del suo studio, mentre nella trasposizione video la rappresentazione assume una nuova dimensione temporale da cui nasce il suo forte elemento narrativo. Ogni film si costruisce seguendo la dinamica interna al sentire dell’artista e si conclude quando la storia perde per lei interesse o quando la materia arriva a disgregarsi, trovando il suo naturale limite dopo innumerevoli passaggi di manipolazione.

In Once Removed on My Mother’s Side, fulcro della storia è un’esile figura, una figlia che si prende cura della madre che con la sua esasperata corpulenza finisce per schiacciarla. L’artista esplora il lato più oscuro della natura dei rapporti umani. Tramite il suo stile apparentemente ingenuo e infantile dà vita a un immaginario crudele e violento che fa emergere desideri, paure inconsce e tabù sociali solitamente chiusi nell’interiorità di ciascuno. Il corpo viene presentato attraverso forzature caricaturali, anche nelle connotazioni sessuali più esplicite e in mutilazioni che ne rivelano la vulnerabilità e la caducità. La sensazione di inquietudine che permea i suoi film è rafforzata dalla dimensione acustica, creata da Hans Berg con il quale l’artista collabora in un esclusivo rapporto di confronto e fiducia.

Presentata nella mostra “Turn into Me” allestita nel 2008 presso la Fondazione Prada a Milano, Of Course I am Working With Magic (costituisce un esempio della nuova fase del suo lavoro in cui ha iniziato ad affiancare al lavoro video anche quello installativo. In quest’opera  il visitatore si trova di fronte a una grafica animata in cui assiste alla deformazione e al disfacimento del corpo di una figura femminile. Una natura antropomorfa prende vita e aggredisce la apparentemente indifesa protagonista, che a sua volta si trasforma in un personaggio mostruoso e autodistruttivo che compie violenza sul suo stesso corpo. L’aspetto primitivo della struttura, che ricorda un’architettura arcaica serve come da cassa di risonanza per il film Jag sysslar givetvis med trolleri (traduzione in svedese del titolo dell’installazione), in cui la scelta di un formato video di piccole dimensioni funziona in analogia alla ristrettezza dello spazio in cui l’artista sembra voler confrontare lo spettatore con sue visioni interiori.

L’installazione Das Waldhäuschen (Casetta nel bosco) impone al visitatore una fruizione difficile e sorprendente. Le dimensioni ristrette, a misura di bambino, costringono un adulto a uno sforzo fisico per introdursi nella casa e sedersi su una piccola sedia da cui poter osservare il video Turn into Me (Trasformati in me). Il film si schiude attraverso una finestra come il panorama di un mondo esterno, contrapponendo così l’intimità individuale della casetta ad un mondo naturale e selvaggio. All’interno di un bosco una donna muore e il suo corpo nudo inizia a decomporsi, preda di vermi che ne consumano la carne e gli organi interni, permettendo che il corpo perda la propria forma e esponendone le interiora che si trasformano in materia organica, un humus che la terra riassorbe. Nella fase avanzata della decomposizione, compaiono un procione e una talpa e la loro energia ridà vita al personaggio. Il film e la struttura evocano un mondo fiabesco, quello di racconti infantili fatti di piccole abitazioni fatate e foreste incantate, popolate da figure idilliache ma anche minacciose, spesso utilizzate come simboli nel campo della psicanalisi. Djurberg affronta qui un tabù come la morte, creando una favola allegorica sulla ciclicità della vita. Ci porta a riflettere sull’energia vitale ma anche disturbante della natura, trovando nella rappresentazione del crudo disfacimento e della quasi magica rinascita di un corpo l’immagine del suo potere ineluttabile.

 

 

 

Nathalie Djurberg (1978, Lysekil, Svezia; vive e lavora a Berlino), vincitrice del Leone d’argento alla Biennale di Venezia del 2009 come miglior giovane artista, ha svolto i suoi studi presso la Malmö Art Academy e la Hovedskous Art School di Göteborg. Insofferente nei confronti di ricerche e tecniche tradizionali, dopo aver realizzato alcuni video sperimentali con la Super 8 regalatale dal nonno, inizia a lavorare a video creati con una tecnica definita claymation nei quali, tramite la modalità stop motion, crea storie e immagini che hanno come protagoniste marionette in argilla. I video sono sempre accompagnati da sottofondi musicali, realizzati da Hans Berg, che accompagnano le sue storie spesso anche fungendo da elemento straniante, in contrasto con la narrazione visiva.

La sua prima mostra monografica risale al 2002 presso il Konstföreningen AURA di Lund, in Svezia; al 2004 risale l’allestimento di “Tiger Licking Girl’s Butt” presso la Färgfabriken di Stoccolma, mentre la prima personale alla Galleria Giò Marconi di Milano è del 2005. Nel 2006 tiene la prima monografica alla Zach Feuer Gallery di New York, mentre del 2007 è “Denn es ist Schön zu Leben”, presso il Project Space della Kunsthalle di Vienna. Al 2008 risalgono “Turn into Me” presso la Fondazione Prada di Milano e le monografiche tenutesi all’Hammer Museum di Los Angeles e al Santa Barbara Contemporary Arts Forum. Del 2009 sono “Prospectif Cinéma” al Centre Pompidou di Parigi e la mostra “Snakes know it’s yoga” allestita presso la Galleria Giò Marconi e la Kestnergesellschaft di Hannover. “The Parade” al Walker Art Center di Minneapolis e “A World of Glass” presso il Camden Arts Centre di Londra risalgono al 2011, mentre del 2012 sono le personali tenutesi al Röda Sten Art Centre di Göteborg e alla Zach Feuer Gallery.

Tra le mostre collettive ricordiamo: (2002) “Nordic Hell”, Gallery Konstakuten, Stoccolma; (2004) “Multiple Horizons”, Museo d’Arte Contemporanea (MACRO), Roma; (2005) “Enclosed. Contemporary Media Art Screening”, British Museum, Londra; (2006) “Into Me/Out of Me”, MACRO, Roma; (2007) “Family Pictures”, Guggenheim Museum, New York; “Pain/Schmerz hinter dem Knochen wird gezählt”, Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino; “The Shapes of Space”, Guggenheim Museum, New York; (2008) “Things you never saw”, Terme di Diocleziano, Roma; “After Nature”, The New Museum of Contemporary Art, New York; “Worlds on Video”, CCC Strozzina, Firenze; (2009) “Fare Mondi / Making Worlds”, LIII Biennale di Venezia; “La poupée de cire, la poupée de son”, Migros Museum, Zurigo; (2010) “Ibrido. Genetica delle forme d’arte”, Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC), Milano; (2011) “Anonymous Sculpture”, Galerie im Taxispalais, Innsbruck; (2012) “Gaze & Lust. Sexuality in Contemporary Art”, Bergen Kunstmuseum, Bergen.

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