Tadashi Kawamata

Tree Huts, 2013
Installazione in situ / Installation in situ, Palazzo Strozzi, Firenze
Legno / Wood
Courtesy the artist and galerie kamel mennour, Paris
Photo copyright CCC Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze
Photo: Martino Margheri, Markus Bader



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TADASHI KAWAMATA (Giappone, 1953)

Tree Huts, 2013
Installazione site specific, facciata e cortile di Palazzo Strozzi, Firenze

Apnea, 2013
Site specific installation
In collaborazione con / In cooperation with LAC – Laboratorio Arti Civiche

Courtesy l’artista  e  galerie kamel mennour, Paris

 

 

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Le installazioni di Tadashi Kawamata creano una connessione tra architetture esistenti e nuove costruzioni, tra permanente e provvisorio. Per Palazzo Strozzi l’artista ha lavorato in tre diversi luoghi rispondendo alle loro specifiche caratteristiche spaziali e simboliche, esaltando il contrasto tra l’architettura rinascimentale, simbolo di potenza e durevolezza, e la transitorietà e precarietà delle strutture delle sue opere.
Sulla facciata e nel cortile del palazzo l’artista ha proseguito il progetto Tree Huts (capanne sull’albero) già realizzato in altri luoghi del mondo. Fondamentale ispirazione per l’artista è stata l’esperienza delle costruzioni di fortuna dei senza tetto nella New York degli anni Ottanta: strutture precarie che nel contrasto con lo spazio circostante ridefiniscono la percezione spaziale, la funzione e il significato simbolico di un luogo. Le Tree Huts appaiono come nidi effimeri e transitori, fatti con materiali in disuso trovati sul luogo. Esse assumono le sembianze di formule abitative ma lasciano aperte molteplici dimensioni simboliche, dal nido di uccello al rifugio temporaneo, fino all’idea di escrescenza architettonica improvvisa e precaria germinata inaspettatamente sull’austera e aristocratica architettura preesistente.
Per gli spazi espositivi del CCC Strozzina Kawamata ha realizzato la nuova installazione Isola d’emergenza costituita da porte e finestre in disuso ritrovate nei depositi di Palazzo Strozzi, oggetti che hanno perso la loro funzione originaria ma che conservano ancora le tracce di una storia passata. Le porte appese al soffitto ribaltano la nostra percezione da verticale a orizzontale, da un orizzonte stabile a una condizione instabile di sospensione. Il visitatore è posto in una condizione di incertezza e spaesamento fisico e metaforico, quasi sfidato a esperire l’opera da punti di vista diversi.
Sia l’installazione in mostra che le Tree Huts sono caratterizzati da un’estetica essenziale che ritroviamo in quelle abitazioni costruite in situazioni di precarietà, ma diventando anche metafore di uno stato di emergenza che va oltre le sue connotazioni più immediate. Esse sembrano far eco a un senso di incertezza esistenziale. L’assemblaggio di diversi materiali va a comporre forme effimere, destinate a essere distrutte. Nella ripetizione di questo atto che esalta la ciclicità di demolizione e ricostruzione, caratteristica anche della tradizione architettonica giapponese, Kawamata crea una intrinseca connessione tra i suoi progetti distribuiti in tempi e spazi differenti. L’idea di un’opera aperta, nella sua accezione di mutevolezza e ridefinizione, sta alla base di tutto il suo percorso che può essere letto come un unicum, un grande progetto in progress che si conserva integro solo nella memoria. L’artista stesso dichiara: «Il mio progetto non è mai compiuto, si prolunga in modo indefinito. È azione pura». Kawamata realizza le sue installazioni con la partecipazione di amici, persone del posto, giovani architetti, artigiani, nel caso del lavoro per Palazzo Strozzi con i membri di LAC – Laboratorio Arti Civiche. Non solo la forma finale, ma l’intero processo di costruzione delle sue opere diviene espressione di inclusività e apertura come un processo collettivo basato sul dialogo e sulla mediazione tra punti di vista diversi.

 

Tadashi Kawamata (1953, Giappone; vive e lavora a Tokyo e Parigi) durante i suoi studi di pittura, negli anni Settanta, ha cominciato un viaggio artistico degno di nota per la sua mancanza di compiacimento. Non dando niente per scontato, ci impegna in un processo che include uno stretto ripensamento dei tipi di ambiente che creiamo per noi stessi, mettendo così in discussione le necessità e i desideri troppo umani. I gesti e i materiali di Kawamata, dati i contesti in cui avvengono, sono sempre scelti con accortezza. Tadashi Kawamata è noto per i suoi interventi in situ, assemblati con assi di legno, sedie e botti, oltre ad altro materiale. Che costituiscano fragili costruzioni babilonesi, capanne sull’albero o installazioni sul tetto, o che siano allungati in una serpentina, le sue opere offrono, a chi le esperisce, ci si arrampica o ci sale in piedi, un altro punto di vista (in tutti i sensi) sul luogo in cui sono situate. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo, in istituzioni come il Daegu Art Museum in Corea del sud, il Centre Pompidou di Parigi, la HKW a Berlino, la Art Tower Mito a Mito (Giappone), la Serpentine Gallery a Londra, la Art Pace Foundation for Contemporary Art a San Antonio e il MACBA a Barcellona; ha anche partecipato a numerose biennali, come quella di Venezia (1982), documenta VIII e IX (1987-1992), la Biennale d’Arte di São Paulo (1987), la Biennale di Arte Contemporanea di Lione (1993), il Münster Skulptur Projekte (1997), la Biennale di Sydney (1998), Art Focus a Gerusalemme (1999), La Echigo-Tsumari Art Triennale in Niigata (2000 and 2012), la Biennale di Shanghai, la Busan Biennale nella Corea del sud (2002), la Biennale di Valencia (2004), la Biennale di Melle (2009), e la Evento Biennale a Bordeaux (2009).



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