Francesco Careri

Francesco Careri
Walkscapes

Estratto dal catalogo Territori instabili, ed. Mandragora, Firenze, 2013.

L’atto di attraversare lo spazio nasce dal bisogno naturale di muoversi per reperire cibo e le informazioni necessarie alla propria sopravvivenza. Ma una volta soddisfatte le esigenze primarie, il camminare si è trasformato in forma simbolica che ha permesso all’uomo di abitare il mondo. Modificando i significati dello spazio attraversato, il percorso è stato la prima azione estetica che ha penetrato i territori del caos costruendovi un nuovo ordine sul quale si è sviluppata l’architettura degli oggetti situati. Il camminare è un’arte che porta in grembo il menhir, la scultura, l’architettura e il paesaggio. Da questa semplice azione si sono sviluppate le più importanti relazioni che l’uomo intesse con il territorio.

La transumanza nomade, considerata generalmente come l’archetipo di ogni percorso, è stata in realtà lo sviluppo delle interminabili erranze di caccia del paleolitico, i cui significati simbolici vennero tradotti dagli egiziani nel ka, il simbolo della eterna erranza. L’erranza primitiva ha continuato a vivere nella religione (il percorso come rito) e nelle forme letterarie (il percorso come narrazione), trasformandosi in percorso sacro, danza, pellegrinaggio, processione. È solo nell’ultimo secolo che il percorso, svincolandosi dalla religione e dalla letteratura, ha assunto lo statuto di puro atto estetico. Oggi si può costruire una storia del camminare come forma di intervento urbano che porta con sé i significati simbolici dell’atto creativo primario: l’erranza come architettura del paesaggio, intendendo con il termine paesaggio l’azione di trasformazione simbolica, oltre che fisica, dello spazio antropico.

È in questa prospettiva che sono stati approfonditi tre importanti momenti di passaggio della storia dell’arte – tutti assolutamente noti agli storici – che hanno avuto come punto di svolta un’esperienza legata al camminare. Si tratta dei passaggi dal dadaismo al surrealismo (1921-24), dall’Internazionale Lettrista all’Internazionale Situazionista (1956-57) e dal minimalismo alla land art (1966-67). Analizzando questi episodi si ottiene una storia della città percorsa che va dalla città banale di Dada alla città entropica di Smithson, passando per la città inconscia o onirica dei surrealisti e per quella ludica e nomade dei situazionisti. Quella che viene scoperta dalle erranze degli artisti è una città liquida, un liquido amniotico dove si formano spontaneamente gli spazi dell’altrove, un arcipelago urbano da navigare andando alla deriva. Una città in cui gli spazi dello stare sono le isole del grande mare formato dallo spazio dell’andare.

Anti-Walk.

Il camminare viene sperimentato per tutto l’inizio del secolo come forma dell’anti-arte. Nel 1921 Dada organizza a Parigi una serie di “visite-escursioni” nei luoghi banali della città. È la prima volta che l’arte rifiuta i luoghi deputati per riconquistare lo spazio urbano. La “visita” è uno degli strumenti scelti da Dada per attuare quel superamento dell’arte che farà da filo conduttore per la comprensione delle avanguardie successive. Nel 1924 i dadaisti parigini organizzano un’erranza in aperta campagna. Scoprono nel camminare una componente onirica e surreale e definiscono questa esperienza una “deambulazione”, una sorta di scrittura automatica nello spazio reale, capace di rivelare le zone inconsce e il rimosso dalla città. Agli inizi degli anni Cinquanta l’Internazionale Lettrista, contestando la deambulazione surrealista, comincia a costruire quella “teoria della deriva” che nel 1956, ad Alba, verrà a contatto con l’universo nomade. Nel 1957, Constant progetta un accampamento per gli zingari di Alba, mentre Asger Jorn e Guy Debord forniscono le prime immagini di una città fondata sulla dérive. La deriva urbana lettrista si trasforma in costruzione di situazioni sperimentando comportamenti ludico-creativi e ambienti unitari. Constant rielabora la teoria situazionista per sviluppare l’idea di una città nomade – New Babylon – portando il tema del nomadismo nell’ambito dell’architettura e fornendo le radici alle avanguardie radicali degli anni successivi.

Land Walk

La seconda metà del secolo vede il camminare come una delle forme d’arte utilizzate dagli artisti per intervenire nella natura. Nel 1966 sulla rivista “Artforum” appare il racconto del viaggio di Tony Smith in un’autostrada in costruzione. Ne nasce una polemica tra i critici modernisti e gli artisti minimalisti. Alcuni scultori cominciano a esplorare il tema del percorso prima in quanto oggetto e in seguito come esperienza. La land art rivisita attraverso il camminare le origini arcaiche del paesaggismo e del rapporto tra arte e architettura portando la scultura a riappropriarsi degli spazi e dei mezzi dell’architettura. Nel 1967 Richard Long realizza A Line Made by Walking, una linea disegnata calpestando l’erba di un prato. L’azione lascia una traccia sul terreno, l’oggetto scultoreo è completamente assente, il camminare si trasforma in forma d’arte autonoma. Nello stesso anno Robert Smithson compie A Tour of the Monuments of Passaic. È il primo viaggio attraverso gli spazi vuoti della periferia contemporanea. Il viaggio tra i nuovi monumenti porta Smithson a fare alcune considerazioni: il rapporto tra arte e natura è cambiato, la natura è cambiata, il paesaggio contemporaneo produce autonomamente i propri luoghi, nel rimosso della città si trovano i futuri all’abbandono prodotti dall’entropia.

Transurbanza.

La lettura della città attuale dal punto di vista dell’erranza si basa sulle “transurbanze” condotte da Stalker dal 1995 in alcune città europee. Perdendosi tra le amnesie urbane Stalker ha incontrato quegli spazi che Dada aveva definito banali e quei luoghi che i surrealisti avevano definito come l’ “inconscio della città”. Il rimosso, lo scarto, l’assenza di controllo hanno prodotto un sistema di spazi vuoti (il mare dell’arcipelago) che possono essere percorsi andando alla deriva come nei settori labirintici della New Babylon di Constant: uno spazio nomade ramificato come un sistema di tratturi urbani che sembra essersi realizzato come prodotto dell’entropia della città, come uno dei “futuri all’abbandono” descritti da Robert Smithson. Tra le pieghe della città sono cresciuti spazi in transito, territori in trasformazione continua nel tempo. È in questi territori che oggi si può superare la millenaria separazione tra spazi nomadi e spazi sedentari.

Il nomadismo in realtà ha sempre vissuto in osmosi con la sedentarietà e la città attuale contiene al suo interno spazi nomadi (vuoti) e spazi sedentari (pieni), che vivono gli uni accanto agli altri in un delicato equilibrio di reciproci scambi. Oggi la città nomade vive all’interno della città sedentaria, si nutre dei suoi scarti offrendo in cambio la propria presenza come una nuova natura che può essere percorsa solamente abitandola.

La transurbanza è, come lo era stato il percorso erratico, una sorta di pre-architettura del paesaggio contemporaneo. Il primo obiettivo è dunque quello di smentire ogni immaginario anti-architettonico del nomadismo e quindi del camminare: è dai cacciatori del paleolitico e dai pastori nomadi che proviene il menhir, il primo oggetto situato nel paesaggio da cui si è sviluppata l’architettura. Il paesaggio inteso come “architettura del vuoto” è un’invenzione della civiltà dell’erranza. È solo negli ultimi diecimila anni di vita sedentaria che si è passati dall’architettura dello spazio vuoto all’architettura dello spazio pieno.

Il secondo obiettivo è quello di comprendere la collocazione del percorso nella storia degli archetipi dell’architettura. In questo senso si compie un’escursione alle radici del rapporto tra percorso e architettura, e quindi tra erranza e menhir, in un’età in cui ancora non esisteva l’architettura come costruzione fisica dello spazio, ma esisteva – all’interno del percorso – come costruzione simbolica di territorio.

 

Francesco Careri (1966, Italia) è architetto e dal 2005 è ricercatore universitario presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre. Dal 1995 è membro fondatore di Stalker/Osservatorio Nomade, il collettivo con cui sperimenta metodologie di intervento creativo e di abitare informale a Roma: prima con azioni di arte pubblica al Campo Boario, poi a Corviale con studi e progetti sulle microtrasformazioni operate dagli abitanti, in seguito nella città dei Rom, tra baraccopoli, campi attrezzati e auto recupero di spazi occupati. Dal 2006 è titolare del Corso di Arti Civiche della Facoltà di Architettura di Roma Tre, un corso opzionale a struttura peripatetica che si svolge interamente camminando, analizzando e interagendo in situ con i fenomeni urbani emergenti. Dal 2012 è Direttore del Master Arti Architettura Città. Tra le sue pubblicazioni: Constant. New Babylon, una città nomade, Testo & Immagine, Torino 2001 e Walkscapes. El andar como pràctica estética / Walking as an aesthetic practice, Gustavo Gili, Barcellona 2002 ( trad.it. Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino 2006).



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