Palazzo Strozzi
  Bill Viola, Christian Nold, Yves Netzhammer
Teresa Margolles, Valerio Magrelli, William Kentridge
Katharina Grosse, Andrea Ferrara, Elisa Biagini
Maurice Benayoun, Antonella Anedda
 
   
  ELISA BIAGINI, ANTONELLA ANEDDA, VALERIO MAGRELLI
 
   
  Come tradurre le emozioni in linguaggio? E’ quello che tentano di fare ormai da anni Antonella Anedda, Elisa Biagini e Valerio Magrelli con stili e temi diversi ma che sempre hanno al centro questa indagine. La poesia diventa un viaggio nell’esperienza altrui che lentamente facciamo nostra, ritrovandoci proprio nella descrizione di emozioni che anche noi abbiamo vissuto. La “buona” poesia è infatti capace di fare proprio questo: trasportare le sensazioni e le storie da un piccolo spazio “privato” ad una dimensione universale, perché, come dice Anne Sexton, “my kitchen, your kitchen//my face, your face”. Poesia non percepita come distante e difficile dunque - come troppo spesso si continua a pensare -, ma vissuta e letta come mezzo fondamentale per il “trasporto del carico emotivo”: poesia a cui ci affidiamo proprio nei momenti a maggiore densità emotiva della nostra vita.
Ecco dunque come i tre poeti qui presentati ci traghettino in questo “altrove” inizialmente percepito come nuovo ed estraneo ma che, in breve ci si rivela come incredibilmente familiare. Nella Anedda “la parola si spacca come legno” ed è in quel suono che rivive l’emozione; la Biagini e la sua mappatura del linguaggio dell’incomunicabilità e del corpo, vicina in quest’ultimo tema a Magrelli, abitante-narratore del “condominio di carne” (dal titolo di uno dei suoi più fortunati libri).
Guardiamo il significato della parola “emozione”: una forma di trasporto, un andarsene, passare da un luogo ad un altro. Capacità dunque di creare uno spazio alternativo, forse nuovo: è quello che fa la buona poesia, ci apre la porta delle cose che ci circondano per permetterci di vederne il nocciolo pulsante, per osservare l’intrico delle vene. Movimento dunque, non la staticità della cornice del libro: parole-api che ronzano sulla pagina bianca di Emily, che scalpitano come i cavalli della poesia della Plath (“words dry and riderless / the indefatigable hoof-taps”). Il movimento è il passo che io faccio verso di te, da scrittore a lettore e di nuovo a scrittore, seguendo il senso rotatorio della memoria condivisa. La poesia diventa un viaggio nell’esperienza, la mia pelle la tua mappa. Perché forse lo hai dimenticato, ma per quella strada ci sei già passato, hai già visto quell’albero e il suo ramo. Il poeta coraggioso fa quello che ha scritto Coetzee da qualche parte: lancia una parola nel buio e ascolta il suono che questa rimanda. Quel suono diventa la musica del suo testo, un´ eco densa come un burro nero. Anedda, Biagini e Magrelli dunque e il loro tentare di tradurre in linguaggio le emozioni. Anedda che si sporge nella notte dal “balcone del corpo”, Biagini o della frustrazione del comunicare, una Sisifo della parola-dialogo; Magrelli e la sua ansia che lo martella come ferro e che ne cambia la forma, inevitabile come calamita.
 
 
 
   
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