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Lo sviluppo del mercato dell’arte
contemporanea cinese negli ultimi anni somiglia a un evento esplosivo
in perfetto stile Cai Guo-Qiang, svoltosi per di più al riparo
dal maltempo, da problemi tecnici e persino da burbere voci critiche
volte a mettere in guardia il pubblico abbacinato dallo spettacolo.
Il sorriso degli innumerevoli Doppelgänger di Yue Minjun
si è allargato sempre di più ai record raggiunti dalle
quotazioni di singole opere d’arte contemporanea cinese un mese
dopo l’altro. E decine di ossessionanti anonimi della grande
famiglia di Zhang Xiaogang sono comparsi come ospiti d’onore
di vernissage in vernissage.
Questo terzetto riunisce gli artisti più rappresentativi
del mercato dell’arte contemporanea cinese. Due anni fa, nessuno
di loro – e a dire il vero nessun artista cinese della generazione
nata dopo il 1950 – aveva raggiunto la quotazione di un milione
di dollari, o anche solo di mezzo milione, a un’asta pubblica.
Adesso, opere pregevoli – e, bisogna dire, anche meno pregevoli
– superano regolarmente quella cifra.
Una simile espansione del mercato è particolarmente evidente
nello sviluppo delle vendite di arte contemporanea cinese di Sotheby’s
a Hong Kong o nelle vendite di arte contemporanea asiatica (soprattutto
cinese) a New York. Sotheby’s ha tenuto la prima asta d’arte
contemporanea cinese a Hong Kong nell’ottobre 2004: tra questa
e la terza vendita a distanza di un anno, il valore complessivo
dei lotti venduti è più che triplicato, passando da
2.950.712 dollari (HK $22,955,600) a 9.019.398 dollari (HK $69,961,201);
la somma complessiva per la primavera 2006 ammontava a 16.995.902
dollari, equivalente a un incremento dell’88% rispetto all’autunno
precedente. Le vendite di Sotheby’s a Hong Kong hanno continuato
a crescere in maniera esponenziale; la più recente, del 7
ottobre 2007, ha realizzato un colossale ricavato lordo di 34.240.517
dollari (HK $ 265,583,250) che corrisponde a più del triplo
del risultato totalizzato nell’ottobre 2005. Dopo la vendita
dell’aprile 2006 a Hong Kong, l’asta, che si tiene due
volte l’anno, è stata suddivisa in due sessioni: la
prima dedicata all’arte moderna di valore ma meno ambita;
la seconda all’arte contemporanea..
Per un corretto paragone con il 2005, occorre quindi aggiungere
la cifra, che adesso appare modesta, di 8.314.034 dollari (HK $
64.487.000) realizzata nella sessione di arte moderna. Da un mercato
del volume di appena 2,95 milioni di dollari dell’ottobre
2004, l’arte contemporanea cinese ha compiuto il balzo in
avanti più straordinario nella storia del mercato dell’arte
degli ultimi decenni, per arrivare, nell’ottobre di tre anni
dopo, a un ricavato di 42.554.551 dollari, ossia un incremento di
oltre quattordici volte.
Nondimeno, se le vicende di Hong Kong stanno a dimostrare l’evoluzione
del mercato pubblico fino alla raggiunta maturità, le vendite
a New York costituiscono un debutto assoluto. Dopo l’apertura
di un dipartimento di arte contemporanea cinese a New York nel 2005,
Sotheby’s ha tenuto la prima asta di arte asiatica contemporanea
il 31 marzo 2006, evento epocale che ha introdotto la categoria
dell’arte asiatica in una delle sedi più prestigiose
del mercato occidentale. Il ricavato della vendita ammontava a 13.228.960
dollari, migliorando quello realizzato a Hong Kong nell’autunno
precedente e dando senza dubbio impulso alla vendita che si sarebbe
tenuta nella città portuale asiatica appena una settimana
dopo. Fu venduto l’89,1% dei 245 lotti presentati alla vendita
di New York, con un prezzo medio per opera di 60.132 dollari. Com’era
avvenuto a Hong Kong, la prima asta newyorchese – risalente
a meno di due anni fa, anche se da allora sembra passato un decennio
– è stata un punto di riferimento per gli sviluppi
futuri. La vendita del settembre 2007 a New York ha realizzato un
ricavato lordo di 38.446.975 dollari, con un’offerta di 275
lotti di cui l’81,8 % venduti, con un prezzo medio per opera
schizzato a 170.875 dollari, equivalente a un incremento del 184%
rispetto al marzo 2006. Il ricavato della vendita di settembre ha
visto un incremento del 191% rispetto alla prima vendita newyorchese
del marzo 2006.
Dal 2005 la mia società fornisce consulenze al dipartimento
di arte contemporanea cinese di New York ed è stato gratificante
e affascinante vedere l’arte contemporanea asiatica attecchire
sempre più nel mercato globale dell’arte contemporanea.
In un articolo pubblicato sulla rivista di Sotheby’s, “Preview”,
nell’aprile 2006, avevo delineato quattro caratteristiche
che distinguevano il mercato dell’arte contemporanea asiatica
dal corrispettivo mercato euro-americano; “tutte e quattro”,
scrivevo all’epoca, “incoraggiano un’aspettativa
ottimistica circa il futuro del mercato”. Le quattro caratteristiche
individuate e le rispettive implicazioni erano le seguenti:
1. “Un numero relativamente limitato di grandi nomi si è
accaparrato tutta l’attenzione, in particolare per quanto
riguarda l’arte contemporanea cinese […] Molti altri
artisti influenti […] aspettano ancora di ricevere il riconoscimento
storico-artistico che meritano o una visibilità sul mercato
[…] In futuro si assisterà a un progressivo aumento
del numero di artisti che otterranno i risultati finora riservati
a una cerchia abbastanza ristretta di fortunati”.
2. “Se la letteratura storico-artistica sta attualmente rimediando
a passate chiusure in modo da riflettere in maniera più accurata
la diversità geografica della pratica artistica moderna e
contemporanea, il mercato delle aste deve ancora mettersi al passo
con questa nuova apertura”. Avevo quindi nominato una serie
di artisti che avevano apportato “un contributo significativo
non solo alle pratiche artistiche locali ma, più in generale,
alla storia dell’arte”, affermando che “il riconoscimento
e la rivalutazione della loro arte sono attese da tempo”.
3. La “divergenza stilistica tra gli artisti che operano in
forme dichiaratamente contemporanee e quelli che, pur non essendo
meno contemporanei, continuano ad attingere a mezzi tradizionali”
veniva indicata come una zona d’ombra dal valore sottostimato
nel mercato contemporaneo globale. Mi riferivo alla pittura a inchiostro
contemporanea; “fino ad ora, l’interesse di curatori
o collezionisti per la tradizione della pittura a inchiostro è
provenuto principalmente dall’Asia, ma questa tendenza sembra
destinata a mutare”.
4. “Infine”, scrivevo, “ciò che vale per
i negletti maestri giapponesi e coreani e per la pittura a inchiostro
contemporanea asiatica è vero anche per quegli artisti cinesi
che hanno ottenuto risultati spettacolari in sede d’asta:
questi ultimi rimangono sottovalutati in confronto ai loro corrispettivi
euro-americani. È forse questa la caratteristica più
rilevante dell’emergente mercato asiatico.
A nemmeno due anni di distanza, ci sentiamo autorizzati a qualche
revisione.
Il primo pronostico si è già dimostrato azzeccato;
molti artisti oltre ai grossi nomi noti hanno raggiunto prezzi considerevoli
alle aste. Tuttavia, ciò è dovuto non tanto al riconoscimento
di un valore equivalente, quanto alla generale esuberanza del mercato.
Restano ancora parecchie discrepanze tra i prezzi raggiunti (dati
abbastanza oggettivi in quanto pubblici) e il valore (che alcuni
preferiscono considerare un dato puramente soggettivo). Come ha
affermato Guan Yi, un prestigioso collezionista di Pechino, in un’intervista
di poco precedente la vendita di Sotheby’s dell’autunno
del 2007 a Hong Kong: “La buona arte non sempre è costosa
e l’arte costosa non sempre è buona”. Oggi sono
più scettico circa un probabile aumento del numero di artisti
che “otterranno i risultati finora riservati a una cerchia
abbastanza ristretta di fortunati”, se non altro perché,
in termini monetari, il benchmark di riferimento è decuplicato
dall’estate del 2006 alla fine del 2007!
Per quanto riguarda il secondo punto, circa il fatto che il riconoscimento
del valore storico-artistico si sarebbe progressivamente riflesso
nel mercato delle aste, sarei ugualmente un po’ più
cauto. È innegabile che gli artisti che menzionavo nell’articolo
della primavera del 2006 abbiano già cominciato a veder crescere
il riconoscimento della loro “importanza” o del loro
“valore”, e oggi si potrebbe facilmente fare il nome
di molti altri – ammesso che apprezzamento sul mercato e riconoscimento
storico-artistico siano necessariamente correlati. Benché
continui ad essere convinto del valore imperituro del giudizio storico-artistico
nella prospettiva di lunga durata della storia dell’arte,
non è del tutto chiaro se si debba considerare l’attuale
euforia del mercato globale per l’arte contemporanea come
un semplice dato di fatto o, piuttosto, un mutamento paradigmatico
in cui è il mercato vincente a scrivere, in termini sempre
più persuasivi, la storia dell’arte. Sebbene le quotazioni
attuali siano molto alte e alcuni dei prezzi attualmente raggiunti
sembrino sbalorditivi, non è tanto una questione di bolle
speculative o di crolli del mercato; alcune correzioni sono inevitabili.
Piuttosto, è il soverchiante potere del denaro “a basso
costo” e quindi “deprezzato” a dettare legge.
I collezionisti tradizionali possono comprare la “storia”
ma gli smaliziati e danarosi investitori nel mercato odierno comprano
marchi e immagini commerciali, talora nella speranza di rivendere
semplicemente la merce per ricavarne un buon profitto. Se è
vero che ciò non è una novità, mi sembra che
oggi sia una prassi molto consolidata. Basti solo pensare alla varietà
di prodotti di investimento in campo artistico spuntati come funghi
negli ultimi anni, semplicemente allo scopo di procurare rendimenti
finanziari agli investitori.
Per quanto riguarda la terza osservazione, non mi pare necessaria
alcuna rettifica. Resto ancora dell’idea che la pittura a
inchiostro sia destinata a ricevere un maggiore riconoscimento sia
da parte del mercato che da parte di critici e storici dell’arte,
e a questa si potrebbero aggiungere altre forme storiche che continuano
ad essere praticate altrove con modalità innovative. Naturalmente,
è interessante notare che le tele a olio di stile occidentale
sono andate molto meglio nel mercato dell’arte contemporanea
cinese rispetto a opere che impiegano mezzi più tradizionali;
la ragione fondamentale di questo squilibrio è dovuta al
fatto che le opere che appaiono più apertamente tradizionali
hanno una maggiore difficoltà a rendere visibile la loro
contemporaneità – tanto più in un’epoca
in cui è decisivo fare mostra del proprio impegno nei confronti
di ciò che è contemporaneo. Ovviamente ci sono le
eccezioni, come la Square Word Calligraphy di Xu Bing o
le pitture a inchiostro con caratteri fittizi di Wenda Gu, ma persino
i più grandi maestri contemporanei che lavorano con inchiostro
e carta non raggiungono il livello di riconoscimento sul mercato
che viene riservato agli artisti che utilizzano la tecnica dell’olio
su tela. Tuttavia, a prescindere dal fatto che valore di mercato
e riconoscimento storico siano o meno correlati, le tradizioni secolari
che rimangono tutt’oggi vitali non possono che sottrarsi alla
relativa oscurità a cui sono relegate, per acquistare una
maggiore visibilità.
L’ultima e “più rilevante caratteristica”
dell’emergente mercato asiatico individuata nella primavera
del 2006 richiede la rettifica maggiore. I dati sono mutati in maniera
così clamorosa da rendere le prime previsioni ridicolmente
superate. Tra i molti artisti che sono “rimasti sottovalutati
in confronto ai loro corrispettivi euro-americani” annoveravo
“anche quegli artisti cinesi che hanno raggiunto risultati
spettacolari nelle aste”. I risultati attuali sono anche più
spettacolari e, in alcuni casi, il divario si è completamente
colmato.
Prima di approfondire questo ragionamento, è necessario richiamarsi
ad alcuni punti di riferimento dal mondo che sta dietro all’arte
contemporanea cinese. Il primo è cinese ma proviene da un
mercato alternativo. I fondi iShares/FTSE Xinhua 25 (l’indice
azionario per i fondi comuni di investimento che segue l’andamento
della borsa cinese) o FXI chiudeva a 74,28 dollari il 31 marzo 2006,
la data della prima vendita newyorchese di Sotheby’s di arte
contemporanea asiatica. A partire dal 5 ottobre 2007, il venerdì
precedente la più recente vendita a Hong Kong, FXI chiudeva
a 191,60 dollari. L’incremento di questo indice cinese negli
stessi diciotto mesi equivale dunque a circa il 158% – risultato
non così eclatante se paragonato a quello complessivo delle
vendite di arte contemporanea asiatica a New York ma, in ogni caso,
un rialzo notevole per un indice di borsa. Inoltre, le azioni FXI
sono disponibili a un costo nettamente inferiore al prezzo unitario
medio da Sotheby’s e hanno un’alta liquidità;
benché il volume azionario (la quantità di azioni
negoziate) vari di giorno in giorno, il 31 marzo 2006 era a quota
267.100 per passare, il 5 ottobre 2007, a 5.824.300, con un incremento
di oltre venti volte. Ciò che mi interessa qui non è
confrontare l’indice azionario dei fondi di investimento con
l’arte contemporanea cinese come forma di investimento; entrambi
presentano benefici e rischi. Piuttosto, l’eccezionale rialzo
dell’indice azionario e la crescita esplosiva del volume azionario
durante quegli stessi diciotto mesi indicano che non è soltanto
l’arte contemporanea cinese ad essere in effervescenza, ma
praticamente tutto ciò che è cinese; in particolare,
della Cina continentale, purché non riguardi i beni di consumo
infetti che hanno occupato le prime pagine dei giornali lo scorso
autunno.
Per tornare all’ambito dell’arte, ero presente all’asta
di Sotheby’s a New York il 9 novembre 2004, quando la grande
e bellissima tela del 1954 di Mark Rothko No. 6 (Yellow, White,
Blue over Yellow on Gray) fu venduta per la cifra di 17.368.000
dollari (comprensiva dei diritti d’asta), molto al di sopra
delle stime che oscillavano tra i 9 e i 12 milioni di dollari. Una
cifra da capogiro. Il venditore, (Robert Mnuchin, ex funzionario
della Goldman Sachs riconvertitosi in mercante d’arte) era
estremamente soddisfatto. L’opera era stata presentata in
precedenza in un’asta pubblica da Christie’s nel maggio
del 1987 dove era stata venduta per 924.000 dollari, maturando un
invidiabile tasso di rendimento annuale del 18,2% su un periodo
di diciassette anni – volendo ridurre un dipinto così
etereo alla volgare materialità del suo “valore”.
Il ricavato totale della serata raggiunse la cifra di 93,5 milioni
di dollari, la più alta degli ultimi quindici anni. Il record
precedente era stato raggiunto nella vendita del novembre 1989,
poco prima che il mercato dell’arte conoscesse un memorabile
e prolungato crollo.
Naturalmente, anche l’acquirente del Rothko nel novembre
2004 aveva di che essere soddisfatto: alla folta schiera di persone
provviste dei mezzi per comprarsene uno, 17,4 milioni di dollari
per un Rothko di quelle dimensioni sembra adesso un vero affare!
Sempre di Rothko, una tela leggermente più piccola del 1950,
White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose), proveniente
dalla collezione David e Peggy Rockefeller, è stata venduta
lo scorso 15 maggio da Sotheby’s a New York per 72.840.000
dollari. L’opera era stata acquistata dalla Sidney Janis Gallery
nel 1960 e da allora era sempre appartenuta alla collezione della
famiglia Rockefeller. Sebbene White Center sia indiscutibilmente
il più raffinato e il più importante dei due dipinti,
è nondimeno legittimo basarsi su queste cifre per stimare
intorno al 319% l’incremento del valore di un Rothko di grandi
dimensioni dal 2004 al 2007.
L’asta di Sotheby’s del 15 maggio 2007 ha totalizzato
la cifra colossale di 254,9 milioni di dollari: un incremento del
172,6% rispetto alla cifra record della vendita del novembre 2004,
anche se, nel frattempo sono stati superati molti altri record.
Non ricordo se la vendita del 15 maggio avesse stabilito un record
ma, dal momento che le cifre continuano a salire, non vale più
nemmeno la pena di tenere il conto. Il giorno dopo, la casa d’aste
concorrente, Christie’s, tenne la propria asta a New York
e realizzò 384,7 milioni di dollari su 74 lotti venduti.
Il pezzo più eccezionale era Green Car Crash –
Burning Car I di Andy Warhol, del 1963, una tela classica delle
dimensioni di 228,6 x 203,2 centimetri, che fu venduta per la cifra
di 71.720.000 dollari contro una stima di 25-35 milioni. Nella stessa
vendita, un’altra tela di Warhol, Lemon Marilyn del
1962, delle dimensioni di 50,8 x 40,64 centimetri, fu venduta per
la cifra di 28.040.000 dollari (stima non divulgata). Man mano che
l’asta del 16 maggio si esauriva, i dieci Warhol battuti avevano
raggiunto la cifra sbalorditiva di 136.704.000 dollari, una coppia
di mirabili Rothko del 1961 ha raggiunto la cifra di 49.360.000
dollari, un de Kooning è stato venduto per 19,1 milioni di
dollari, un piccolo Jasper Johns per 17,4 milioni di dollari…
Per ventisei artisti sono state raggiunte cifre record, sessantacinque
lotti sono stati venduti per una cifra superiore al milione di dollari,
di cui un 74% al di sopra del valore più alto stimato…
così pare stiano le cose.
Quello che mi interessa, tuttavia, non è comparare i prezzi
stratosferici di un Rothko, di un de Kooning, di un Warhol o di
un Johns con quelli relativamente bassi degli artisti contemporanei
cinesi anche tra i più quotati come Cai Guo-Qiang, Yue Minjun,
o Zhang Xiaogang. Tale specioso parallelo, al quale tornerò
tra breve, mi sembra del tutto insensato da un punto di vista storico-artistico.
Piuttosto, le cifre a sei zeri dimostrano che non è soltanto
l’arte contemporanea cinese a essere sulla cresta dell’onda
ma, più in generale, fette significative del mercato dell’arte
moderna e contemporanea. Negli ultimi secoli, l’arte contemporanea
non ha mai attirato così tanti compratori come nell’epoca
in cui il denaro sembrava costituire una risorsa apparentemente
infinita. “L’unica cosa a buon mercato al giorno d’oggi
è il denaro”, come mi faceva scherzosamente notare
uno stimato collega tempo fa.
Dunque che cosa sta succedendo nel mercato dell’arte contemporanea
cinese e come si spiega tutto questo? In breve, l’accresciuta
attrattiva per tutto ciò che è cinese, l’interesse
diffuso per l’arte contemporanea, i pozzi di denaro senza
fondo del mercato finanziario e la configurazione agli occhi degli
speculatori di un mercato emergente sottovalutato in fase di espansione,
hanno creato le condizioni assolutamente perfette per lo sviluppo
del mercato contemporaneo cinese. Difficile fare previsioni sull’andamento
futuro – anche se ci sarà chi lo farà in maniera
più o meno azzardata. Fatto sta che il ritmo di sviluppo
a cui abbiamo assistito negli ultimi tre anni è indubbiamente
insostenibile. Nessuna classe di investimento può continuare
a crescere a tempo indeterminato di oltre il 30% ogni sei mesi.
Un simile slancio, a ritmo così serrato e ad ampio raggio,
prima o poi è destinato a esaurirsi. Questo non significa
che i prezzi crolleranno necessariamente o che non continueranno
a salire nel lungo termine. A un certo punto, tuttavia, non continueranno
più a crescere al ritmo degli ultimi tempi; e, in un mercato
spumeggiante come questo, una normale stabilizzazione potrebbe apparire
ad alcuni una catastrofe.
Data la quantità e la varietà dei collezionisti (o
speculatori) che dispongono di enormi somme di denaro e la dimensione
sbalorditiva di queste somme, qualche lungimirante esperto del mondo
dell’arte ritiene che il mercato dell’arte sia relativamente
al riparo dai capricci del mondo finanziario, come le oscillazioni
degli indici di borsa. Ossia, se la ricchezza in mano a singoli
individui è oggi diversificata in ambito più internazionale
e quella ricchezza è così immensa da rimanere enorme
anche se dimezzata, esiste una tendenza al rialzo connaturata nella
capacità di acquisto del mercato dell’arte. E, per
quanto riguarda l’arte contemporanea cinese, alcuni ritengono
che, prima o poi, i nuovi ricchi cinesi, molti dei quali si sono
arricchiti grazie a un’offerta pubblica iniziale sul mercato
(IPO), vorranno ricomprare la propria eredità culturale.
Si tratta di un’ipotesi plausibile ma potrebbe anche rivelarsi
una pia illusione. Ciò che sappiamo al momento è che
l’indice cinese dei fondi di investimento (FXI) è diminuito
dai valori più alti di quasi 220 dollari per azione raggiunti
lo scorso autunno per toccare recentemente i 147 dollari, con una
flessione del 33% in due mesi. Questo non deve essere preso necessariamente
come un segnale d’allarme, dal momento che non esiste nessuna
correlazione tra il mercato azionario cinese (o qualunque altro
mercato azionario) e il mercato dell’arte contemporanea cinese.
Ma entrambi sono mercati emergenti e in questo momento sono molto
volatili.
Perciò, se un Rothko o un Warhol viene venduto per 72 milioni
di dollari e molti altri artisti superano tranquillamente i cinque
o i dieci milioni, perché scandalizzarsi del prezzo di listino
multimilionario per un Zhang Xiaogang o un Yue Minjun? In ogni caso,
non se si considerano come eventi specifici e distinti. Ma paragonare
Warhol a un Yue Minjum o un Wang Guangyi non è specioso soltanto
perché Warhol è Warhol e gli altri no, il che non
ci dice un granché; ma è stupido perché se
è vero che mele e arance si comprano nella stessa valuta
al mercato locale, la rispettiva determinazione del prezzo non ci
serve a giudicare le qualità intrinseche di una specifica
mela o di una specifica arancia. Tale è l’importanza
e la portata di Warhol nello sviluppo dell’arte a partire
dagli anni Sessanta – dell’arte mondiale, come dimostra
l’opera di Wang Guangyi (e i metodi di lavoro di Ai Weiwei)
– che pochi sono gli artisti del XX secolo, e senza dubbio
della seconda metà, ai quali sia possibile paragonarlo. Warhol
è importante perché la sua eredità è
costantemente visibile nelle strategie formali e nelle pratiche
di esecuzione di una schiera innumerevole di artisti successivi
a livello internazionale. Ciò giustifica un prezzo di listino
di 72 milioni di dollari? Non saprei. Ma, che piaccia o no, l’opera
e la vita di Warhol hanno gettato le basi dell’arte successiva
e oggi appaiono più che mai rilevanti. Come diceva Warhol:
“Mi piace il denaro appeso al muro. Metti di comprare un quadro
da 200.000 dollari. Credo che dovresti prendere quei soldi, metterli
assieme e appenderli al muro. Così, se qualcuno viene a trovarti,
la prima cosa che vede sono i soldi sul muro”.
Warhol morì nel 1987, all’età di cinquantotto
anni. Le superstar del mercato cinese dell’arte contemporanea
– gran parte delle quali sono nate tra la fine degli anni
Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta – hanno davanti
a sé ancora qualche anno prima che possiamo paragonare la
loro produzione con l’opera di Warhol. Ma va altresì
ricordato che il mercato di Warhol era parecchio in ribasso negli
anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta. Di conseguenza,
potrebbero benissimo passare altri vent’anni prima di veder
riconosciuta sul mercato su basi paritarie una collocazione adeguata
a specifici artisti cinesi, nonché la loro risonanza e importanza
nell’ambito della comunità internazionale, ossia la
portata del loro impatto sulla progenie di artisti contemporanei
e futuri. Questa è la ragione principale per cui è
ingannevole fare paragoni con un Rothko, un Warhol o un Johns: non
si tratta di mele cinesi contro arance occidentali ma di generazioni
completamente diverse di raccolti, a prescindere dal paese di origine.
Quando si scelgano termini di paragone più pertinenti, tuttavia,
i risultati sono effettivamente indicativi. Consideriamo, piuttosto,
la significativa generazione di artisti – mettiamo, quelli
nati dopo il 1950 in tutto il mondo – le cui opere abbiano
raggiunto quotazioni a sei zeri nelle principali sedi di aste pubbliche
– diciamo Christie’s e Sotheby’s a Londra e New
York. La nostra ricerca si circoscrive dunque a quella che possiamo
senza dubbio definire “arte contemporanea globale” e
fornisce un campionario di esponenti del mercato paragonabili a
Cai Guo-Qiang (n. 1957), Yue Minjun (n. 1962), Zhang Xiaogang (n.
1958) e altri le cui opere sono state vendute per oltre un milione
di dollari a un’asta pubblica.
Posso averne tralasciati alcuni e probabilmente la prossima settimana
l’elenco potrebbe cambiare ma, al momento, conto solo una
trentina di artisti che hanno venduto oltre il milione di dollari,
compresi gli artisti cinesi, un gruppetto sorprendentemente sparuto
se si considerano le cifre da capogiro abitualmente sborsate per
un’opera d’arte al giorno d’oggi. Il “club
dei milionari” annovera personaggi noti come Jean-Michel Basquiat
(americano, 1960–88), Keith Haring (americano, 1958–90),
Jeff Koons (americano, n. 1955), Takashi Murakami (giapponese, n.
1963) e Damien Hirst (inglese, n. 1965) – in un modo o nell’altro,
tutti eredi diretti o pupilli di Warhol – così come
la “ragazzaccia” americana Lisa Yuskavage (n. 1963)
e le sue controparti inglesi Jenny Saville (n. 1970) e Cecily Brown
(n. 1969), le più giovani esponenti del club. La lista comprende
anche il fotografo tedesco Andreas Gursky (n. 1955), come pure la
sua celebre collega americana Cindy Sherman (n. 1954). Non manca
il pittore belga Luc Tuymans (n. 1957) insieme alla sudafricana
Marlene Dumas (n. 1953) e allo scozzese Peter Doig (n. 1959).
Al momento della stesura di questo articolo, dieci sono gli artisti
cinesi nati dopo il 1950 che appartengono al club dei milionari,
tutti entrati negli ultimi due anni, la gran parte nel corso dell’ultimo
anno. E sono: Cai Guo-Qiang (n. 1957), Chen Danqing (n. 1953), Fang
Lijun (n. 1963), Leng Jun (n. 1963), Liu Ye (n. 1964), Wang Guangyi
(n. 1957), Yan Pei Ming (n. 1960), Yue Minjun (n. 1962), Zeng Fanzhi
(n. 1964) e Zhang Xiaogang (n. 1957). Ciò che colpisce di
più è la rapidità con cui la composizione del
club è passata da un’egemonia euro-americana a quasi
un terzo cinese. E, per essersi affacciati in tempi relativamente
recenti sul mercato, le stelle più brillanti hanno raggiunto
notevoli risultati ricorrenti: a partire dall’ottobre dello
scorso anno, prima della chiusura della stagione d’asta, venti
opere di Zhang Xiaogang sono state vendute per oltre un milione
di dollari nel 2006 e nel 2007, dieci di by Yue Minjun (tutte nel
2007), cinque di Liu Ye (tutte nel 2007) e sei di Zeng Fanzhi (anche
in questo caso, tutte nel 2007). Da allora, le cifre sono indubbiamente
cresciute ed è possibile che altri artisti, cinesi e non,
si siano associati al club dei milionari.
Sulla base dei dati attuali, vedo tre possibili interpretazioni.
La prima porterebbe a dire che esistono oggi alcuni artisti di origine
non cinese le cui opere sono vendute relativamente sotto prezzo
rispetto a quelle dei loro corrispettivi cinesi; ciò fa considerare
i prezzi registrati per gli artisti cinesi contemporanei come benchmark
per analisi comparative del peer group internazionale e
lascerebbe intendere che esistono “altri” artisti non
riconosciuti di pari o maggior “valore”. Oppure, si
potrebbe sostenere che le stelle più brillanti dell’arte
cinese contemporanea (o almeno una parte) sono attualmente sopravvalutate;
in questo caso, il benchmark sarebbe rappresentato dai
prezzi registrati per gli artisti contemporanei internazionali che
appartengono al peer group generazionale. La terza interpretazione
porterebbe a constatare che, sebbene lo ignorassimo fino a pochi
anni fa, un buon terzo degli artisti più significativi in
ambito internazionale nati dopo il 1950 sono, di fatto, cinesi;
in tal caso, i valori di mercato starebbero a indicarne l’“importanza”
e i dati demografici del club dei milionari il valore nominale.
Se ciascuna di queste interpretazioni ha una sua parte di verità,
e una o l’altra deve riflettere maggiormente la realtà,
nessuna è interamente soddisfacente.
Mentre il vasto spiegamento di obiettivi mobili che costituisce
il mercato continua ad evolversi, al lettore scegliere quale di
queste interpretazioni, se pure ce n’è una, appaia
la più convincente alla luce dei dati attuali. Nessuno è
in grado prevedere l’andamento futuro del mercato dell’arte
contemporanea cinese. Ciò che sembra evidente è che
improbabile che ci troveremo nella medesima situazione di qui a
due anni e che qualcuno interpreterà meglio di altri il rapporto
tra valore e prezzo. |