Home l Educazione l Informazioni l Contatti l English
   
  Catalogo
Silvana Editoriale
www.silvanaeditoriale.it
   
  > James Bradburne, Il Centro di Contemporanea Strozzina
> Franziska Nori, Cina Cina Cina!!!
   
 

> Joe Martin Hill, Arte e mercato
> Francesca Dal Lago, La Cina è lontana

> Wang Jianwei, Perché si deve parlare di “Cina”, adesso?

> Davide Quadrio, La Cina, ancora!

> Lothar Spree, 40 + 4 Arte non è abbastanza, non è abbastanza!

> Li Zhenhua, Multiarcheologia

> Zhang Wei, Un lancio di dadi

 
  Arte e mercato: prospettive
sulla storia recente

Joe Martin Hill
   
  Lo sviluppo del mercato dell’arte contemporanea cinese negli ultimi anni somiglia a un evento esplosivo in perfetto stile Cai Guo-Qiang, svoltosi per di più al riparo dal maltempo, da problemi tecnici e persino da burbere voci critiche volte a mettere in guardia il pubblico abbacinato dallo spettacolo. Il sorriso degli innumerevoli Doppelgänger di Yue Minjun si è allargato sempre di più ai record raggiunti dalle quotazioni di singole opere d’arte contemporanea cinese un mese dopo l’altro. E decine di ossessionanti anonimi della grande famiglia di Zhang Xiaogang sono comparsi come ospiti d’onore di vernissage in vernissage.

Questo terzetto riunisce gli artisti più rappresentativi del mercato dell’arte contemporanea cinese. Due anni fa, nessuno di loro – e a dire il vero nessun artista cinese della generazione nata dopo il 1950 – aveva raggiunto la quotazione di un milione di dollari, o anche solo di mezzo milione, a un’asta pubblica. Adesso, opere pregevoli – e, bisogna dire, anche meno pregevoli – superano regolarmente quella cifra.

Una simile espansione del mercato è particolarmente evidente nello sviluppo delle vendite di arte contemporanea cinese di Sotheby’s a Hong Kong o nelle vendite di arte contemporanea asiatica (soprattutto cinese) a New York. Sotheby’s ha tenuto la prima asta d’arte contemporanea cinese a Hong Kong nell’ottobre 2004: tra questa e la terza vendita a distanza di un anno, il valore complessivo dei lotti venduti è più che triplicato, passando da 2.950.712 dollari (HK $22,955,600) a 9.019.398 dollari (HK $69,961,201); la somma complessiva per la primavera 2006 ammontava a 16.995.902 dollari, equivalente a un incremento dell’88% rispetto all’autunno precedente. Le vendite di Sotheby’s a Hong Kong hanno continuato a crescere in maniera esponenziale; la più recente, del 7 ottobre 2007, ha realizzato un colossale ricavato lordo di 34.240.517 dollari (HK $ 265,583,250) che corrisponde a più del triplo del risultato totalizzato nell’ottobre 2005. Dopo la vendita dell’aprile 2006 a Hong Kong, l’asta, che si tiene due volte l’anno, è stata suddivisa in due sessioni: la prima dedicata all’arte moderna di valore ma meno ambita; la seconda all’arte contemporanea..
Per un corretto paragone con il 2005, occorre quindi aggiungere la cifra, che adesso appare modesta, di 8.314.034 dollari (HK $ 64.487.000) realizzata nella sessione di arte moderna. Da un mercato del volume di appena 2,95 milioni di dollari dell’ottobre 2004, l’arte contemporanea cinese ha compiuto il balzo in avanti più straordinario nella storia del mercato dell’arte degli ultimi decenni, per arrivare, nell’ottobre di tre anni dopo, a un ricavato di 42.554.551 dollari, ossia un incremento di oltre quattordici volte.

Nondimeno, se le vicende di Hong Kong stanno a dimostrare l’evoluzione del mercato pubblico fino alla raggiunta maturità, le vendite a New York costituiscono un debutto assoluto. Dopo l’apertura di un dipartimento di arte contemporanea cinese a New York nel 2005, Sotheby’s ha tenuto la prima asta di arte asiatica contemporanea il 31 marzo 2006, evento epocale che ha introdotto la categoria dell’arte asiatica in una delle sedi più prestigiose del mercato occidentale. Il ricavato della vendita ammontava a 13.228.960 dollari, migliorando quello realizzato a Hong Kong nell’autunno precedente e dando senza dubbio impulso alla vendita che si sarebbe tenuta nella città portuale asiatica appena una settimana dopo. Fu venduto l’89,1% dei 245 lotti presentati alla vendita di New York, con un prezzo medio per opera di 60.132 dollari. Com’era avvenuto a Hong Kong, la prima asta newyorchese – risalente a meno di due anni fa, anche se da allora sembra passato un decennio – è stata un punto di riferimento per gli sviluppi futuri. La vendita del settembre 2007 a New York ha realizzato un ricavato lordo di 38.446.975 dollari, con un’offerta di 275 lotti di cui l’81,8 % venduti, con un prezzo medio per opera schizzato a 170.875 dollari, equivalente a un incremento del 184% rispetto al marzo 2006. Il ricavato della vendita di settembre ha visto un incremento del 191% rispetto alla prima vendita newyorchese del marzo 2006.

Dal 2005 la mia società fornisce consulenze al dipartimento di arte contemporanea cinese di New York ed è stato gratificante e affascinante vedere l’arte contemporanea asiatica attecchire sempre più nel mercato globale dell’arte contemporanea. In un articolo pubblicato sulla rivista di Sotheby’s, “Preview”, nell’aprile 2006, avevo delineato quattro caratteristiche che distinguevano il mercato dell’arte contemporanea asiatica dal corrispettivo mercato euro-americano; “tutte e quattro”, scrivevo all’epoca, “incoraggiano un’aspettativa ottimistica circa il futuro del mercato”. Le quattro caratteristiche individuate e le rispettive implicazioni erano le seguenti:

1. “Un numero relativamente limitato di grandi nomi si è accaparrato tutta l’attenzione, in particolare per quanto riguarda l’arte contemporanea cinese […] Molti altri artisti influenti […] aspettano ancora di ricevere il riconoscimento storico-artistico che meritano o una visibilità sul mercato […] In futuro si assisterà a un progressivo aumento del numero di artisti che otterranno i risultati finora riservati a una cerchia abbastanza ristretta di fortunati”.
2. “Se la letteratura storico-artistica sta attualmente rimediando a passate chiusure in modo da riflettere in maniera più accurata la diversità geografica della pratica artistica moderna e contemporanea, il mercato delle aste deve ancora mettersi al passo con questa nuova apertura”. Avevo quindi nominato una serie di artisti che avevano apportato “un contributo significativo non solo alle pratiche artistiche locali ma, più in generale, alla storia dell’arte”, affermando che “il riconoscimento e la rivalutazione della loro arte sono attese da tempo”.
3. La “divergenza stilistica tra gli artisti che operano in forme dichiaratamente contemporanee e quelli che, pur non essendo meno contemporanei, continuano ad attingere a mezzi tradizionali” veniva indicata come una zona d’ombra dal valore sottostimato nel mercato contemporaneo globale. Mi riferivo alla pittura a inchiostro contemporanea; “fino ad ora, l’interesse di curatori o collezionisti per la tradizione della pittura a inchiostro è provenuto principalmente dall’Asia, ma questa tendenza sembra destinata a mutare”.
4. “Infine”, scrivevo, “ciò che vale per i negletti maestri giapponesi e coreani e per la pittura a inchiostro contemporanea asiatica è vero anche per quegli artisti cinesi che hanno ottenuto risultati spettacolari in sede d’asta: questi ultimi rimangono sottovalutati in confronto ai loro corrispettivi euro-americani. È forse questa la caratteristica più rilevante dell’emergente mercato asiatico.

A nemmeno due anni di distanza, ci sentiamo autorizzati a qualche revisione.
Il primo pronostico si è già dimostrato azzeccato; molti artisti oltre ai grossi nomi noti hanno raggiunto prezzi considerevoli alle aste. Tuttavia, ciò è dovuto non tanto al riconoscimento di un valore equivalente, quanto alla generale esuberanza del mercato. Restano ancora parecchie discrepanze tra i prezzi raggiunti (dati abbastanza oggettivi in quanto pubblici) e il valore (che alcuni preferiscono considerare un dato puramente soggettivo). Come ha affermato Guan Yi, un prestigioso collezionista di Pechino, in un’intervista di poco precedente la vendita di Sotheby’s dell’autunno del 2007 a Hong Kong: “La buona arte non sempre è costosa e l’arte costosa non sempre è buona”. Oggi sono più scettico circa un probabile aumento del numero di artisti che “otterranno i risultati finora riservati a una cerchia abbastanza ristretta di fortunati”, se non altro perché, in termini monetari, il benchmark di riferimento è decuplicato dall’estate del 2006 alla fine del 2007!

Per quanto riguarda il secondo punto, circa il fatto che il riconoscimento del valore storico-artistico si sarebbe progressivamente riflesso nel mercato delle aste, sarei ugualmente un po’ più cauto. È innegabile che gli artisti che menzionavo nell’articolo della primavera del 2006 abbiano già cominciato a veder crescere il riconoscimento della loro “importanza” o del loro “valore”, e oggi si potrebbe facilmente fare il nome di molti altri – ammesso che apprezzamento sul mercato e riconoscimento storico-artistico siano necessariamente correlati. Benché continui ad essere convinto del valore imperituro del giudizio storico-artistico nella prospettiva di lunga durata della storia dell’arte, non è del tutto chiaro se si debba considerare l’attuale euforia del mercato globale per l’arte contemporanea come un semplice dato di fatto o, piuttosto, un mutamento paradigmatico in cui è il mercato vincente a scrivere, in termini sempre più persuasivi, la storia dell’arte. Sebbene le quotazioni attuali siano molto alte e alcuni dei prezzi attualmente raggiunti sembrino sbalorditivi, non è tanto una questione di bolle speculative o di crolli del mercato; alcune correzioni sono inevitabili. Piuttosto, è il soverchiante potere del denaro “a basso costo” e quindi “deprezzato” a dettare legge.
I collezionisti tradizionali possono comprare la “storia” ma gli smaliziati e danarosi investitori nel mercato odierno comprano marchi e immagini commerciali, talora nella speranza di rivendere semplicemente la merce per ricavarne un buon profitto. Se è vero che ciò non è una novità, mi sembra che oggi sia una prassi molto consolidata. Basti solo pensare alla varietà di prodotti di investimento in campo artistico spuntati come funghi negli ultimi anni, semplicemente allo scopo di procurare rendimenti finanziari agli investitori.

Per quanto riguarda la terza osservazione, non mi pare necessaria alcuna rettifica. Resto ancora dell’idea che la pittura a inchiostro sia destinata a ricevere un maggiore riconoscimento sia da parte del mercato che da parte di critici e storici dell’arte, e a questa si potrebbero aggiungere altre forme storiche che continuano ad essere praticate altrove con modalità innovative. Naturalmente, è interessante notare che le tele a olio di stile occidentale sono andate molto meglio nel mercato dell’arte contemporanea cinese rispetto a opere che impiegano mezzi più tradizionali; la ragione fondamentale di questo squilibrio è dovuta al fatto che le opere che appaiono più apertamente tradizionali hanno una maggiore difficoltà a rendere visibile la loro contemporaneità – tanto più in un’epoca in cui è decisivo fare mostra del proprio impegno nei confronti di ciò che è contemporaneo. Ovviamente ci sono le eccezioni, come la Square Word Calligraphy di Xu Bing o le pitture a inchiostro con caratteri fittizi di Wenda Gu, ma persino i più grandi maestri contemporanei che lavorano con inchiostro e carta non raggiungono il livello di riconoscimento sul mercato che viene riservato agli artisti che utilizzano la tecnica dell’olio su tela. Tuttavia, a prescindere dal fatto che valore di mercato e riconoscimento storico siano o meno correlati, le tradizioni secolari che rimangono tutt’oggi vitali non possono che sottrarsi alla relativa oscurità a cui sono relegate, per acquistare una maggiore visibilità.

L’ultima e “più rilevante caratteristica” dell’emergente mercato asiatico individuata nella primavera del 2006 richiede la rettifica maggiore. I dati sono mutati in maniera così clamorosa da rendere le prime previsioni ridicolmente superate. Tra i molti artisti che sono “rimasti sottovalutati in confronto ai loro corrispettivi euro-americani” annoveravo “anche quegli artisti cinesi che hanno raggiunto risultati spettacolari nelle aste”. I risultati attuali sono anche più spettacolari e, in alcuni casi, il divario si è completamente colmato.

Prima di approfondire questo ragionamento, è necessario richiamarsi ad alcuni punti di riferimento dal mondo che sta dietro all’arte contemporanea cinese. Il primo è cinese ma proviene da un mercato alternativo. I fondi iShares/FTSE Xinhua 25 (l’indice azionario per i fondi comuni di investimento che segue l’andamento della borsa cinese) o FXI chiudeva a 74,28 dollari il 31 marzo 2006, la data della prima vendita newyorchese di Sotheby’s di arte contemporanea asiatica. A partire dal 5 ottobre 2007, il venerdì precedente la più recente vendita a Hong Kong, FXI chiudeva a 191,60 dollari. L’incremento di questo indice cinese negli stessi diciotto mesi equivale dunque a circa il 158% – risultato non così eclatante se paragonato a quello complessivo delle vendite di arte contemporanea asiatica a New York ma, in ogni caso, un rialzo notevole per un indice di borsa. Inoltre, le azioni FXI sono disponibili a un costo nettamente inferiore al prezzo unitario medio da Sotheby’s e hanno un’alta liquidità; benché il volume azionario (la quantità di azioni negoziate) vari di giorno in giorno, il 31 marzo 2006 era a quota 267.100 per passare, il 5 ottobre 2007, a 5.824.300, con un incremento di oltre venti volte. Ciò che mi interessa qui non è confrontare l’indice azionario dei fondi di investimento con l’arte contemporanea cinese come forma di investimento; entrambi presentano benefici e rischi. Piuttosto, l’eccezionale rialzo dell’indice azionario e la crescita esplosiva del volume azionario durante quegli stessi diciotto mesi indicano che non è soltanto l’arte contemporanea cinese ad essere in effervescenza, ma praticamente tutto ciò che è cinese; in particolare, della Cina continentale, purché non riguardi i beni di consumo infetti che hanno occupato le prime pagine dei giornali lo scorso autunno.

Per tornare all’ambito dell’arte, ero presente all’asta di Sotheby’s a New York il 9 novembre 2004, quando la grande e bellissima tela del 1954 di Mark Rothko No. 6 (Yellow, White, Blue over Yellow on Gray) fu venduta per la cifra di 17.368.000 dollari (comprensiva dei diritti d’asta), molto al di sopra delle stime che oscillavano tra i 9 e i 12 milioni di dollari. Una cifra da capogiro. Il venditore, (Robert Mnuchin, ex funzionario della Goldman Sachs riconvertitosi in mercante d’arte) era estremamente soddisfatto. L’opera era stata presentata in precedenza in un’asta pubblica da Christie’s nel maggio del 1987 dove era stata venduta per 924.000 dollari, maturando un invidiabile tasso di rendimento annuale del 18,2% su un periodo di diciassette anni – volendo ridurre un dipinto così etereo alla volgare materialità del suo “valore”. Il ricavato totale della serata raggiunse la cifra di 93,5 milioni di dollari, la più alta degli ultimi quindici anni. Il record precedente era stato raggiunto nella vendita del novembre 1989, poco prima che il mercato dell’arte conoscesse un memorabile e prolungato crollo.

Naturalmente, anche l’acquirente del Rothko nel novembre 2004 aveva di che essere soddisfatto: alla folta schiera di persone provviste dei mezzi per comprarsene uno, 17,4 milioni di dollari per un Rothko di quelle dimensioni sembra adesso un vero affare! Sempre di Rothko, una tela leggermente più piccola del 1950, White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose), proveniente dalla collezione David e Peggy Rockefeller, è stata venduta lo scorso 15 maggio da Sotheby’s a New York per 72.840.000 dollari. L’opera era stata acquistata dalla Sidney Janis Gallery nel 1960 e da allora era sempre appartenuta alla collezione della famiglia Rockefeller. Sebbene White Center sia indiscutibilmente il più raffinato e il più importante dei due dipinti, è nondimeno legittimo basarsi su queste cifre per stimare intorno al 319% l’incremento del valore di un Rothko di grandi dimensioni dal 2004 al 2007.

L’asta di Sotheby’s del 15 maggio 2007 ha totalizzato la cifra colossale di 254,9 milioni di dollari: un incremento del 172,6% rispetto alla cifra record della vendita del novembre 2004, anche se, nel frattempo sono stati superati molti altri record. Non ricordo se la vendita del 15 maggio avesse stabilito un record ma, dal momento che le cifre continuano a salire, non vale più nemmeno la pena di tenere il conto. Il giorno dopo, la casa d’aste concorrente, Christie’s, tenne la propria asta a New York e realizzò 384,7 milioni di dollari su 74 lotti venduti. Il pezzo più eccezionale era Green Car Crash – Burning Car I di Andy Warhol, del 1963, una tela classica delle dimensioni di 228,6 x 203,2 centimetri, che fu venduta per la cifra di 71.720.000 dollari contro una stima di 25-35 milioni. Nella stessa vendita, un’altra tela di Warhol, Lemon Marilyn del 1962, delle dimensioni di 50,8 x 40,64 centimetri, fu venduta per la cifra di 28.040.000 dollari (stima non divulgata). Man mano che l’asta del 16 maggio si esauriva, i dieci Warhol battuti avevano raggiunto la cifra sbalorditiva di 136.704.000 dollari, una coppia di mirabili Rothko del 1961 ha raggiunto la cifra di 49.360.000 dollari, un de Kooning è stato venduto per 19,1 milioni di dollari, un piccolo Jasper Johns per 17,4 milioni di dollari… Per ventisei artisti sono state raggiunte cifre record, sessantacinque lotti sono stati venduti per una cifra superiore al milione di dollari, di cui un 74% al di sopra del valore più alto stimato… così pare stiano le cose.
Quello che mi interessa, tuttavia, non è comparare i prezzi stratosferici di un Rothko, di un de Kooning, di un Warhol o di un Johns con quelli relativamente bassi degli artisti contemporanei cinesi anche tra i più quotati come Cai Guo-Qiang, Yue Minjun, o Zhang Xiaogang. Tale specioso parallelo, al quale tornerò tra breve, mi sembra del tutto insensato da un punto di vista storico-artistico. Piuttosto, le cifre a sei zeri dimostrano che non è soltanto l’arte contemporanea cinese a essere sulla cresta dell’onda ma, più in generale, fette significative del mercato dell’arte moderna e contemporanea. Negli ultimi secoli, l’arte contemporanea non ha mai attirato così tanti compratori come nell’epoca in cui il denaro sembrava costituire una risorsa apparentemente infinita. “L’unica cosa a buon mercato al giorno d’oggi è il denaro”, come mi faceva scherzosamente notare uno stimato collega tempo fa.

Dunque che cosa sta succedendo nel mercato dell’arte contemporanea cinese e come si spiega tutto questo? In breve, l’accresciuta attrattiva per tutto ciò che è cinese, l’interesse diffuso per l’arte contemporanea, i pozzi di denaro senza fondo del mercato finanziario e la configurazione agli occhi degli speculatori di un mercato emergente sottovalutato in fase di espansione, hanno creato le condizioni assolutamente perfette per lo sviluppo del mercato contemporaneo cinese. Difficile fare previsioni sull’andamento futuro – anche se ci sarà chi lo farà in maniera più o meno azzardata. Fatto sta che il ritmo di sviluppo a cui abbiamo assistito negli ultimi tre anni è indubbiamente insostenibile. Nessuna classe di investimento può continuare a crescere a tempo indeterminato di oltre il 30% ogni sei mesi. Un simile slancio, a ritmo così serrato e ad ampio raggio, prima o poi è destinato a esaurirsi. Questo non significa che i prezzi crolleranno necessariamente o che non continueranno a salire nel lungo termine. A un certo punto, tuttavia, non continueranno più a crescere al ritmo degli ultimi tempi; e, in un mercato spumeggiante come questo, una normale stabilizzazione potrebbe apparire ad alcuni una catastrofe.

Data la quantità e la varietà dei collezionisti (o speculatori) che dispongono di enormi somme di denaro e la dimensione sbalorditiva di queste somme, qualche lungimirante esperto del mondo dell’arte ritiene che il mercato dell’arte sia relativamente al riparo dai capricci del mondo finanziario, come le oscillazioni degli indici di borsa. Ossia, se la ricchezza in mano a singoli individui è oggi diversificata in ambito più internazionale e quella ricchezza è così immensa da rimanere enorme anche se dimezzata, esiste una tendenza al rialzo connaturata nella capacità di acquisto del mercato dell’arte. E, per quanto riguarda l’arte contemporanea cinese, alcuni ritengono che, prima o poi, i nuovi ricchi cinesi, molti dei quali si sono arricchiti grazie a un’offerta pubblica iniziale sul mercato (IPO), vorranno ricomprare la propria eredità culturale. Si tratta di un’ipotesi plausibile ma potrebbe anche rivelarsi una pia illusione. Ciò che sappiamo al momento è che l’indice cinese dei fondi di investimento (FXI) è diminuito dai valori più alti di quasi 220 dollari per azione raggiunti lo scorso autunno per toccare recentemente i 147 dollari, con una flessione del 33% in due mesi. Questo non deve essere preso necessariamente come un segnale d’allarme, dal momento che non esiste nessuna correlazione tra il mercato azionario cinese (o qualunque altro mercato azionario) e il mercato dell’arte contemporanea cinese. Ma entrambi sono mercati emergenti e in questo momento sono molto volatili.

Perciò, se un Rothko o un Warhol viene venduto per 72 milioni di dollari e molti altri artisti superano tranquillamente i cinque o i dieci milioni, perché scandalizzarsi del prezzo di listino multimilionario per un Zhang Xiaogang o un Yue Minjun? In ogni caso, non se si considerano come eventi specifici e distinti. Ma paragonare Warhol a un Yue Minjum o un Wang Guangyi non è specioso soltanto perché Warhol è Warhol e gli altri no, il che non ci dice un granché; ma è stupido perché se è vero che mele e arance si comprano nella stessa valuta al mercato locale, la rispettiva determinazione del prezzo non ci serve a giudicare le qualità intrinseche di una specifica mela o di una specifica arancia. Tale è l’importanza e la portata di Warhol nello sviluppo dell’arte a partire dagli anni Sessanta – dell’arte mondiale, come dimostra l’opera di Wang Guangyi (e i metodi di lavoro di Ai Weiwei) – che pochi sono gli artisti del XX secolo, e senza dubbio della seconda metà, ai quali sia possibile paragonarlo. Warhol è importante perché la sua eredità è costantemente visibile nelle strategie formali e nelle pratiche di esecuzione di una schiera innumerevole di artisti successivi a livello internazionale. Ciò giustifica un prezzo di listino di 72 milioni di dollari? Non saprei. Ma, che piaccia o no, l’opera e la vita di Warhol hanno gettato le basi dell’arte successiva e oggi appaiono più che mai rilevanti. Come diceva Warhol: “Mi piace il denaro appeso al muro. Metti di comprare un quadro da 200.000 dollari. Credo che dovresti prendere quei soldi, metterli assieme e appenderli al muro. Così, se qualcuno viene a trovarti, la prima cosa che vede sono i soldi sul muro”.

Warhol morì nel 1987, all’età di cinquantotto anni. Le superstar del mercato cinese dell’arte contemporanea – gran parte delle quali sono nate tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta – hanno davanti a sé ancora qualche anno prima che possiamo paragonare la loro produzione con l’opera di Warhol. Ma va altresì ricordato che il mercato di Warhol era parecchio in ribasso negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta. Di conseguenza, potrebbero benissimo passare altri vent’anni prima di veder riconosciuta sul mercato su basi paritarie una collocazione adeguata a specifici artisti cinesi, nonché la loro risonanza e importanza nell’ambito della comunità internazionale, ossia la portata del loro impatto sulla progenie di artisti contemporanei e futuri. Questa è la ragione principale per cui è ingannevole fare paragoni con un Rothko, un Warhol o un Johns: non si tratta di mele cinesi contro arance occidentali ma di generazioni completamente diverse di raccolti, a prescindere dal paese di origine.

Quando si scelgano termini di paragone più pertinenti, tuttavia, i risultati sono effettivamente indicativi. Consideriamo, piuttosto, la significativa generazione di artisti – mettiamo, quelli nati dopo il 1950 in tutto il mondo – le cui opere abbiano raggiunto quotazioni a sei zeri nelle principali sedi di aste pubbliche – diciamo Christie’s e Sotheby’s a Londra e New York. La nostra ricerca si circoscrive dunque a quella che possiamo senza dubbio definire “arte contemporanea globale” e fornisce un campionario di esponenti del mercato paragonabili a Cai Guo-Qiang (n. 1957), Yue Minjun (n. 1962), Zhang Xiaogang (n. 1958) e altri le cui opere sono state vendute per oltre un milione di dollari a un’asta pubblica.

Posso averne tralasciati alcuni e probabilmente la prossima settimana l’elenco potrebbe cambiare ma, al momento, conto solo una trentina di artisti che hanno venduto oltre il milione di dollari, compresi gli artisti cinesi, un gruppetto sorprendentemente sparuto se si considerano le cifre da capogiro abitualmente sborsate per un’opera d’arte al giorno d’oggi. Il “club dei milionari” annovera personaggi noti come Jean-Michel Basquiat (americano, 1960–88), Keith Haring (americano, 1958–90), Jeff Koons (americano, n. 1955), Takashi Murakami (giapponese, n. 1963) e Damien Hirst (inglese, n. 1965) – in un modo o nell’altro, tutti eredi diretti o pupilli di Warhol – così come la “ragazzaccia” americana Lisa Yuskavage (n. 1963) e le sue controparti inglesi Jenny Saville (n. 1970) e Cecily Brown (n. 1969), le più giovani esponenti del club. La lista comprende anche il fotografo tedesco Andreas Gursky (n. 1955), come pure la sua celebre collega americana Cindy Sherman (n. 1954). Non manca il pittore belga Luc Tuymans (n. 1957) insieme alla sudafricana Marlene Dumas (n. 1953) e allo scozzese Peter Doig (n. 1959).

Al momento della stesura di questo articolo, dieci sono gli artisti cinesi nati dopo il 1950 che appartengono al club dei milionari, tutti entrati negli ultimi due anni, la gran parte nel corso dell’ultimo anno. E sono: Cai Guo-Qiang (n. 1957), Chen Danqing (n. 1953), Fang Lijun (n. 1963), Leng Jun (n. 1963), Liu Ye (n. 1964), Wang Guangyi (n. 1957), Yan Pei Ming (n. 1960), Yue Minjun (n. 1962), Zeng Fanzhi (n. 1964) e Zhang Xiaogang (n. 1957). Ciò che colpisce di più è la rapidità con cui la composizione del club è passata da un’egemonia euro-americana a quasi un terzo cinese. E, per essersi affacciati in tempi relativamente recenti sul mercato, le stelle più brillanti hanno raggiunto notevoli risultati ricorrenti: a partire dall’ottobre dello scorso anno, prima della chiusura della stagione d’asta, venti opere di Zhang Xiaogang sono state vendute per oltre un milione di dollari nel 2006 e nel 2007, dieci di by Yue Minjun (tutte nel 2007), cinque di Liu Ye (tutte nel 2007) e sei di Zeng Fanzhi (anche in questo caso, tutte nel 2007). Da allora, le cifre sono indubbiamente cresciute ed è possibile che altri artisti, cinesi e non, si siano associati al club dei milionari.

Sulla base dei dati attuali, vedo tre possibili interpretazioni. La prima porterebbe a dire che esistono oggi alcuni artisti di origine non cinese le cui opere sono vendute relativamente sotto prezzo rispetto a quelle dei loro corrispettivi cinesi; ciò fa considerare i prezzi registrati per gli artisti cinesi contemporanei come benchmark per analisi comparative del peer group internazionale e lascerebbe intendere che esistono “altri” artisti non riconosciuti di pari o maggior “valore”. Oppure, si potrebbe sostenere che le stelle più brillanti dell’arte cinese contemporanea (o almeno una parte) sono attualmente sopravvalutate; in questo caso, il benchmark sarebbe rappresentato dai prezzi registrati per gli artisti contemporanei internazionali che appartengono al peer group generazionale. La terza interpretazione porterebbe a constatare che, sebbene lo ignorassimo fino a pochi anni fa, un buon terzo degli artisti più significativi in ambito internazionale nati dopo il 1950 sono, di fatto, cinesi; in tal caso, i valori di mercato starebbero a indicarne l’“importanza” e i dati demografici del club dei milionari il valore nominale. Se ciascuna di queste interpretazioni ha una sua parte di verità, e una o l’altra deve riflettere maggiormente la realtà, nessuna è interamente soddisfacente.
Mentre il vasto spiegamento di obiettivi mobili che costituisce il mercato continua ad evolversi, al lettore scegliere quale di queste interpretazioni, se pure ce n’è una, appaia la più convincente alla luce dei dati attuali. Nessuno è in grado prevedere l’andamento futuro del mercato dell’arte contemporanea cinese. Ciò che sembra evidente è che improbabile che ci troveremo nella medesima situazione di qui a due anni e che qualcuno interpreterà meglio di altri il rapporto tra valore e prezzo.

   
   
  inizio pagina