Oggi, la Cina viene raccontata
attraverso notizie incredibili, negli anni ottanta veniva descritta
attraverso cronache avventurose, poi negli anni novanta attraverso
rivelazioni e discussioni interminabili, e ora attraverso una moltitudine
di resoconti giornalistici che hanno un approccio quasi da “archeologia”
della Cina, e puntano tutti, neanche si fossero messi d'accordo, a
quel paese “dormiente” come se si dovesse svelare un paese
ancora nascosto da una cortina di ferro.
Non ho intenzione di perdermi in commenti su argomenti “interni”
alla Cina, ma sottolineo che queste narrazioni giornalistiche sulla
Cina nascondono significati ben più profondi, e questi significati
e queste idee, per chissà quale ragione, non sono evidenti
e forniscono quindi informazioni specifiche, minimali, che hanno
una maggior capacità seduttiva, ma, nello stesso tempo, lasciano
in bocca qualcosa di amaro come se ci fosse qualcosa rimasto non
detto, ancora da scoprire… Ma ciò che mi interessa
è capire perché queste parole “da rivelazione”
possono circolare così ampiamente: come mai la “Cina”
è un argomento onnicomprensivo? L’argomento “Cina”
viene usato così frequentemente, ma non ci sono altre voci
se non quelle dei sostenitori e quelle dei detrattori, bianco e
nero? Analizzando con attenzione queste argomentazioni, emergono
progressivamente analisi specificatamente “circoscritte”,
ed esse sembrano rifarsi a due tendenze completamente differenti.
Da un lato si tende a costruire un’immagine del nuovo panorama
sociale cinese sulla base dell’evidenza di dati quantitativi.
Questi dati vengono disposti in modo tale da mostrare il “progresso”:
quindi ecco apparire i dati circa la velocità con cui si
producono acciaio e cemento; la lunghezza delle strade costruite
e la superficie delle abitazioni edificate; l'acquisto di ogni genere
di beni di lusso e quanto costano; tutto questo appare accanto all’incontrollabile
e ruffiano potere d'acquisto del mercato (nulla ha più forza
di persuasione che l’idea di poter acquistare un'enorme flotta
di aerei in una volta sola): quindi le quantità, i prezzi,
i volumi relativi a qualsiasi transazione economica sono diventati
la prova che conferma la nascita di un “nuovo ordine mondiale”.
Come complemento a questi dati, ecco apparire informazioni-immagine
in pubblicazioni di intrattenimento e svago, che danno un “volto”
ai numeri astratti di cui sopra, facendo sì che questi dati
“irreali” diventino realtà visibile. In questo
modo la ricchezza e le sue “visibili” declinazioni diventano
la via migliore per costruire un senso di fiducia in se stessi (determinazione
del sé).
Negli ultimi tempi, questo delirio ha cominciato a estendersi anche
all’ambito culturale, e l'arte schiacciata dai valori del
mercato viene rimessa in discussione: i nuovi standard sopra descritti
e cioè questa idea del miracolo economico in Cina —
come in qualsiasi altro campo — hanno raggiunto anche l'arte
che è divenuta “oggetto” nella competizione per
ottenere la ricchezza.
L’arte è stata “riordinata” e “ricodificata”
con i metodi propri del mercato, ed è cosi che si è
trasformata in un polo economico da esplorare. In questo nuovo sistema
dei valori, è il possedere (mercato) che detta le regole
del gioco.
Dall'altro lato, invece, si tende a creare una sorta di “scatola
Cina”, che viene definita in maniera differente, come se appartenesse
a uno scenario organicamente “altro”: differente. La
Cina viene così sigillata all'interno del recipiente “speciale,
unico” e quindi peculiare. Questa forzatura fa sì che
la Cina venga vissuta come una realtà singolare e astratta
dal resto del mondo, e come se fosse un oggetto separato dal resto
del mondo: è per questo che si pensa ai valori cinesi come
standardizzati e al “modo” cinese come se fosse legato
a una peculiare modalità di giudizio culturale.
Queste due tendenze di analisi della Cina usano le stesse materie
prime, e comunque hanno prodotto “idee codificate della Cina”
che hanno ciascuna una propria veridicità, e in qualche modo
hanno creato una particolare immagine della Cina! Questa idea della
“straordinarietà” della Cina possiamo accettarla
solo se la analizziamo attraverso il sistema morale, e in questo
modo non possiamo far altro che riconoscere questa sua “esistenza”.
L’“esistenza” è onnicomprensiva, ed è
filosoficamente dimostrata attraverso ragioni inconfutabili: l’esistenza
controlla la dialettica, la conoscenza e perfino la scienza. Sotto
la costrizione dell’“esistenza”, tutto il resto
diviene farsesco e risibile, perfino patetico, e allo stesso tempo
l’“esistenza” fa sì che tutti i pensieri
e le conoscenze abbiano una loro utilità. Rispetto all’esistenza
del contenitore Cina abbiamo già perso la possibilità
di avere “altre” parole da dire, non abbiamo quesiti
scientifici, né alcuna questione sulle strutture della conoscenza
o su controversi significati sociologici; mi schiero quindi su entrambi
i fronti e, a parte il commento sull’“esistenza”,
non ho altro da aggiungere. Adesso, “loro” ci lasciano
discutere della questione arte, ma questa discussione spesso si
limita agli apprezzamenti o alle polemiche sull'arte in quanto oggetto
nelle notizie di mercato, oppure rappresenta semplicemente la materia
che riflette un particolare momento politico: in conclusione, basti
dire che l’“esistenza” è diventata lo strumento
che controlla la logica.
Ma di fronte a questa esistenza, giusta o sbagliata che sia, io
spero di mantenere un posizione di giudizio normale: non cedo infatti
all’idea di una verità che divenga naturale perché
provata dai grandi numeri, ed è per questo che semplicemente
non divento sostenitore di uno dei due fronti.
Possiamo dire addio ad ogni tentativo di pensiero dominante! Lo
diciamo pure alla “questione Cina”? |