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  Multiarcheologia
1162-2162, altri mille annia

Li Zhenhua
   
  Introduzione
Progettare una mostra sull’Asia significa prendere in considerazione
tematiche legate alla geopolitica e alla particolare identità dei paesi
asiatici, questioni che implicano il riferimento ai confini stabiliti dalla
politica, dall’economia e dall’eredità spirituale, e che riguardano la
problematica della trasmissione del sapere.
La presente esposizione, che ha preso le mosse dall’introduzione al
rinomato libro di Jack Weatherford sull’archeologia contemporanea,
Genghis Khan and the Making of the Modern World e dal volume di
Wang Hui The Rise of Modern Chinese Thought, ha una più ampia
portata storica e archeologica e analizza in maniera macroscopica
la Cina moderna e le tematiche legate all’arte contemporanea
cinese, mostrando, nel contempo, le relazioni di questo paese con il
resto del mondo.
La lettura di testi di filosofia e di archeologia mi ha aiutato a formarmi
una prospettiva personale sul tema, in modo da affrontarne la
dimensione internazionale mettendo in luce gli aspetti sociologici,
archeologici, storici e filosofici dell’arte contemporanea. La mia
descrizione dell’approccio curatoriale scelto può fare apparire il
progetto eccessivamente ambizioso, ma il mio scopo è quello di
mostrare la direzione verso cui tende l’arte cinese e mettere in evidenza
quella che è la mia speranza: che questo evento favorisca la creazione
di un nuovo spirito e inauguri un nuovo percorso nelle pratiche dell’arte
cinese contemporanea.

L’arte contemporanea cinese: un breve excursus cronologico
Lo sviluppo dell’arte cinese del XX secolo è fortemente influenzato da
vari elementi. Le problematiche locali e internazionali sorte in diversi
periodi dell’era moderna e post-Maoista in Cina hanno svolto un ruolo
importante nella configurazione dell’arte contemporanea. Le modalità
con cui questi elementi si sono intrecciati emerge con chiarezza dalle
varie mostre che sono state organizzate in Cina e all’estero dal 1979
fino ai nostri giorni. Questi eventi espositivi non si limitavano a
riflettere lo stato dell’arte contemporanea nel corso dei vari decenni,
ma rispecchiavano i contesti sociali, economici, politici e culturali che
le avevano prodotte e che ne permettevano l’esistenza.
L’arte contemporanea cinese ha visto sorgere una varietà di stili
derivanti dalle diverse pratiche e dai diversi approcci artistici: dalle
mostre Stars Outdoor Exhibition degli anni settanta, a 85 New
Wave
, ’89 Grand Exhibition e Post-’89 Grand Exhibition della fine
degli anni ottanta, dal Pop politico e dal Realismo cinico alla Postsensibility
dei tardi anni novanta, al fenomeno della cosiddetta Cartoon
Generation ai Nuovi Media del 2000.
The Stars, il primo vero gruppo di avanguardia nella storia dell’arte
contemporanea cinese, si è formato nel 1979 ed era composto
prevalentemente da artisti visivi (Wang Keping, Ma Desheng, Ai
Weiwei, Huang Rui) ma anche da poeti e scrittori. Le produzioni di The
Stars si caratterizzavano per un linguaggio artistico incisivo che osava
ribellarsi ai principi del realismo rivoluzionario proclamati durante la
Rivoluzione Culturale (1966-1976) e che avevano predominato sino ad
allora nel mondo dell’arte cinese. L’eroismo, la perfezione, i “principi
comunisti” dei decenni precedenti cedevano il passo a uno stile che
esplorava la realtà senza alcun genere di sublimazione e trattava temi
precedentemente tabù, come la politica e il diritto di espressione.
La libertà di espressione e di pensiero e lo sviluppo di un linguaggio
artistico altamente personale che rompesse con le convenzioni erano
le priorità di questi artisti. La “natura politica esplosiva” del loro
operato li ha associati al movimento per la democrazia della fine degli
anni settanta. Quando, nel 1979, al gruppo fu negato il permesso di
esibire le proprie opere al NAMOC (National Art Museum of China), la
loro risposta fu di appendere i propri quadri alla cancellata del museo.
Questo progetto, chiamato Stars Outdoor Exhibition, affermava in tal
modo il concetto di un’arte “non museale” e, allo stesso tempo,
permetteva a questi artisti di emergere in quanto gruppo che si faceva
promotore dell’idea dell’arte come uno strumento per la libera
espressione politica. Malgrado la breve vita del gruppo e il fatto che la
maggior parte dei suoi membri ha dovuto cercare all’estero un
ambiente liberale, The Stars ha inaugurato una tendenza spirituale che
ha raggiunto l’apice negli anni ottanta.
Nei primi anni ottanta, il bisogno di sperimentare e di contestare dogmi
ormai fossilizzati divenne ancora più impellente, per culminare in un
movimento di portata nazionale chiamato New Wave ’85. Questo
movimento coinvolse molte città cinesi, non limitandosi ad agire a livello
locale ma intrecciando un dialogo tra artisti e trasformando la Cina in
un vero e proprio “laboratorio di idee”. Gli artisti familiarizzarono con le
teorie e le opere occidentali, presentate al pubblico cinese in maniera
esauriente anche se non sistematica, grazie anche all’enorme lavoro di
traduzione intrapreso all’epoca e al rapido sviluppo dell’economia
cinese (secondo uno studio, il reddito pro capite all’epoca oscillava tra
i 200 e i 500 RMB/Yuan); misero in questione la tradizione cinese e
cercarono una strada originale per rispondere alle istanze artistiche e
personali. Il movimento culminò nella vasta retrospettiva del 1989
China/Avant-Garde, curata congiuntamente da Gao Minglu, Wang
Mingxian e Hou Hanru, e ospitata dalla National Art Gallery di Pechino.
Per la prima volta, agli artisti d’avanguardia fu concesso di esporre le
proprie opere in un museo. La mostra raccoglieva non solo dipinti e
fotografie ma anche installazioni, video e performance. In particolare,
l’opera Dialogue, di Tang Song e Xiao Lu, suscitò grande scalpore.
L’installazione consisteva in due cabine telefoniche, contro le quali Xiao
Lu sparò altrettanti colpi di pistola, causando l’immediato intervento
della polizia che chiuse la mostra al pubblico.
China/Avant-Garde segnò la fine del cosìddetto “entusiasmo
umanistico” degli anni ottanta, caratterizzati da una politica di
apertura – favorita anche dalla prospettiva economica – e allargò il
divario tra arte ufficiale e arte non ufficiale. Gli spari a Tang Song e
Xiao Lu in piazza Tienanmen del 1989 fecero ulteriormente aumentare
la tensione. L’atmosfera politicamente tesa della fine degli anni ottanta
portò alla nascita di nuovi fenomeni nell’arte. I movimenti del Pop
politico, del Realismo cinico e della Post-sensibility furono la risposta
da parte di sedicenti outsider e “artisti indipendenti” non disposti al
compromesso, che per esprimere resistenza contro le autorità ufficiali
utilizzarono lo humour nero e la violenza (mi riferisco soprattutto agli
esponenti del movimento della Post-sensibility, la cosidetta “arte
sordida”, che arrivò a servirsi di parti umane). Nei primi anni novanta
pittori come Fang Lijun, Yue Minjun, Liu Wei e Yang Shaobin, che il
critico cinese Li Xianting ha etichettato come “realisti cinici”, si
rifugiarono nella comunità artistica dello Yuan Ming Yuan (l’antico
Palazzo d’estate) alla periferia di Pechino; mentre i primi artisti della
performance nella storia dell’arte cinese (Zhang Huan, Ma Liuming,
Zhu Ming, Cang Xin e altri) si stabilirono nella comunità dell’East
Village di Pechino. Entrambe le comunità furono ben presto
smantellate dalla polizia, ma la loro eredità sopravvive nei vari distretti
artistici che sono fioriti in Cina, specialmente a Pechino: da Tongxian
(un’area della zona orientale di Pechino dove molti artisti sono andati a
vivere e a lavorare) alla Fabbrica 798, da Cao Changdi all’ex fabbrica di
liquori di Jiuchang. Questi “villaggi” rispecchiano l’interazione tra
società, economia e politica e incarnano i cambiamenti sociali e
geografici a Pechino. Sulla scia della fenomenale espansione
economica e urbana, l’arte contemporanea cinese ha subito una sorta
di trasformazione “da villaggio a metropoli”, particolarmente evidente
con il sorgere del distretto artistico 798 nel 2002. Da allora, un numero
crescente di artisti si è stabilito in quest’area. Alla fine del 2006, la 798
Art Zone è stata ufficialmente accettata dal governo, grazie alla sua
abilità nell’organizzare gli artisti lì residenti, mettere a punto un
sistema gestionale e stendere contratti di locazione. Dalla comunità
indipendente, formatasi spontaneamente, di Yuan Ming Yuan, al 798,
area protetta dal governo, la scena dell’arte contemporanea pechinese
è passata attraverso quindici anni di influenza esterna e trasformazioni
di natura politica, economica e geografica.

L’arte contemporanea cinese: una questione geopolitica?
L’area 798 di Pechino e Cao Changdi, il distretto artistico Moganshan
50 (M50) a Shanghai, lo Yang River di Guangzhou, il Da Fen Village, il
Long River Delta e il Pearl River Delta, il Nordovest e il Nordest sono
tutte realtà geografiche, luoghi che un tempo non avevano niente a
che vedere con l’arte ma che oggi, essendo stati riconosciuti distretti
artistici, contribuiscono a delineare il profilo e lo stato dell’arte cinese
contemporanea. L’aspetto geografico non si limita a indicare la
topografia dei vari distretti nel contesto cinese, ma la posizione della
Cina nell’ambito dell’arte internazionale.
Forze disparate hanno fatto sì che la Cina rivolgesse la propria
attenzione verso il mondo esterno e viceversa. Gli artisti cinesi che si
sono trasferiti all’estero – come Cai Guoqiang, Xu Bing, Huang
Yongping e il compianto Chen Zhen – e il numero rilevante di
personalità meno note che emigrano ogni anno, non hanno soltanto
creato il fenomeno di un “esodo” cinese ma hanno contribuito a
instaurare un dialogo e ad attirare maggiore attenzione verso la Cina e
il ruolo che l’arte contemporanea cinese ricopre sulla scena
internazionale. Capita che alcuni esperti stranieri cerchino di mostrare
un’arte che abbia quella cosiddetta “caratteristica cinese” nelle
mostre che organizzano, mentre non nutrono alcun reale interesse per
la Cina. Un esempio significativo è la mostra Mahjong organizzata
dal collezionista Uli Sigg nel 2006-2007, che mise fortemente in luce
questa “caratteristica cinese” della produzione artistica ma che era
assai influenzata dall’interpretazione e dalla visione personale che il
collezionista aveva dell’interazione tra la cultura, la politica e i
movimenti sociali cinesi e la tensione che ne risultava. Un simile
approccio, basato su un punto di vista occidentale, pretende di
mostrare al mondo l’autenticità dell’arte cinese, anche quando le
ricerche sono condotte da una prospettiva non cinese. Altri esempi
sintomatici sono la mostra China Power Station, organizzata da
Hans Ulrich Obrist nel 2006 e i padiglioni cinesi curati da Hou Hanru
alla Biennale di Venezia del 2005 (Guangdong Express) e del 2007
(Everyday Miracles); tutte esposizioni che calcano la mano
sull’aspetto della “cinesità”.
Un altro approccio consiste nell’adozione di una prospettiva
internazionale per superare lo stereotipo cinese, come è avvenuto
nella Biennale di Shanghai del 1996 e nelle fiere d’arte organizzate dal
2004 al 2007 a Pechino e a Shanghai. Questi eventi favorirono la
trasformazione dell’arte contemporanea con caratteristica cinese a un
prodotto artistico atto a fare il salto verso un processo di
internazionalizzazione. La visione internazionale incarnata dalla mostra
Get it Louder, organizzata annualmente a partire dal 2005 a
Guangzhou, Shenzhen, Shanghai e Pechino rappresenta un ulteriore
principio dello sviluppo dell’arte cinese contemporanea. Sin dall’inizio,
questa esposizione si è sforzata di evitare la questione della “Cina” o
della “cinesità”, consentendo agli artisti di creare opere
estremamente individuali. Il 2000 è stato l’anno in cui la Cina si è
messa in relazione con il resto del mondo: la Biennale di Shanghai ha
dato una visione internazionale di questo paese. Dopo la
partecipazione a Documenta Kassel nel 1992, gli artisti cinesi sono
stati via via invitati alle Biennali di Venezia e di San Paolo e ad altre
importanti esposizioni internazionali. La globalizzazione ha inciso
fortemente sulla scena dell’arte cinese a partire dal 2000, e grandi
esposizioni come Asian New Media hanno spronato gli artisti cinesi
a partecipare sempre più regolarmente ad eventi intenzionali.
L’“internazionalizzazione” influenza le risorse economiche dell’arte
contemporanea cinese; parallelamente allo sviluppo dell’arte
contemporanea è fiorita anche la letteratura critica, diventando
sempre più esaustiva. I primi testi, come Chinese Contemporary Art
History: 1979–1989
, o 1990–1999 Chinese Contemporary Art History e
20th- Century Chinese Art History forniscono un resoconto
indipendente anche se spesso personale della storia dell’arte
contemporanea cinese. Ad ogni modo, lo sviluppo dei nuovi media e di
Internet ha marginalizzato i testi tradizionali e il mondo dell’arte cinese
ha visto la nascita di varie piattaforme digitali, come l’Aesthetic
Alliance e i siti web della Century Online Chinese Art, della galleria
Saatchi, di artnet e così via, che forniscono all’arte contemporanea
cinese uno spazio virtuale che va oltre i confini geografici e culturali.
Vale la pena di menzionare anche il piccolo sito autogestito di we-need-
money-not-art
. Questo gruppo offre un’altra visione dell’arte
cinese, eliminando i confini internazionali attraverso un’ampia opera di
traduzione e presentando opere nazionali e internazionali nell’ambito
della new media art, della video art, della conceptual art, della robotic
art e della live art.
Da quanto detto, è chiaro che tempo, geografia, cambiamenti politici e
sviluppo economico sono tutte chiavi per capire l’arte cinese
contemporanea. È anche il caso di considerare se la percezione
dell’estetica, anche dalla prospettiva dello stile, sia effettivamente
cambiata nel corso degli anni. Sappiamo per certo che negli ultimi
venticinque o trent’anni la società cinese ha conosciuto una repentina
trasformazione e che sono avvenuti sistematici cambiamenti politici e
organizzativi, come descritto nell’opera Deng Xiaoping in 1975. Tali
cambiamenti, avviati all’inizio degli anni novanta con la creazione di
Zone Economiche Speciali, come Shenzhen e Pudong, sono
artisticamente documentati dalla serie di studi di Wang Jianwei
sull’architettura del quotidiano del 1997, dallo studio di Rem Koolhaas
sulla regione del Pearl River Delta e dalla ricerca di Cao Fei San Yuan
Li
del 2005, che documenta il sorgere di villaggi nell’area di Guangzhou.
Questi studi descrivono la trasformazione dal villaggio alla città, dal
capitale nazionale al capitale internazionale in un’economia in crescita
e in una realtà in pieno sviluppo.
Nel ritrarre tutti questi aspetti, l’arte cinese sembra avanzare
attraverso una densa nebbia. L’arte contemporanea cinese è una
questione di ampia portata e, rispetto all’archeologia, alla sociologia e
alla filosofia sembra influenzata dal fattore economico a breve
termine. O forse subisce l’influenza del nazionalismo? O dipende dalla
responsabilità sociale di coloro che godono della reputazione di
intellettuali? Che cosa può aiutarci ad approfondire la comprensione
dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo nel contesto cinese?
La mostra affonda in qualche modo le radici in questi interrogativi e si
dipana intorno all’idea del progressivo emergere dell’arte
contemporanea cinese dalla densa nebbia in cui si trovava, man mano
che la società cinese si sviluppa.

L’effetto dell’etichetta nazionalista in ambito internazionale
Abbiamo effettuato un confronto tra le caratteristiche dell’arte
contemporanea cinese e la stessa arte nel mezzo del cambiamento
sociale, politico ed economico. Da tale paragone è scaturita
un’ulteriore considerazione che riguarda la possibilità da parte degli
artisti cinesi di rinunciare al retroterra culturale del proprio paese e
agire in quanto pensatori indipendenti. Ossia, gli artisti possono
essere etichettati in quanto “cinesi” o agire in quanto rappresentanti
della loro “categoria” considerata nel suo complesso. È indubbio che
nel moderno mercato dell’arte il brand rivesta un certo valore dal
punto di vista della compravendita; per esempio, nel caso di un’asta
di arte cinese in America o di arte svizzera moderna in Inghilterra.
Sono le leggi di mercato a far sì che il mercato stesso scelga un
prodotto dalla disponibilità limitata e ne innalzi il valore. Di
conseguenza, la nazionalità dell’artista diventa una caratteristica
indicativa nel mercato dell’arte contemporanea. Lo status attuale
dell’arte contemporanea cinese è una conquista importante, derivata
dalla nuova strategia culturale del paese. Gli strateghi e le élite
culturali in Europa, America e Giappone si sono fatte un’idea della
Cina simbolica e hanno considerato i problemi della Cina dalla
prospettiva delle problematiche dell’arte contemporanea di questo
paese, il che costituisce un fenomeno inverso. L’aumento della
presenza di celebrità artistiche nelle grandi esposizioni è una
conseguenza della tendenza all’urbanizzazione degli strateghi
indipendenti. A prescindere dal loro valore artistico, sociale o
individuale, le opere d’arte sembrano infuse di una sorta di
“simbolismo cinese” e il fatto che siano esposte secondo simili
categorie è interessante. Vale inoltre la pena considerare i criteri
che vanno al di là delle opere in sé. Negli anni novanta, Li Xianting
sosteneva che per “collegarsi con il mondo” il “simbolismo cinese” o
la “cinesità” dovevano avere una strategia, dal momento che ciò
implica l’esistenza dell’altro. Oggi dobbiamo chiederci seriamente:
che cosa provoca l’eccesso di “simbolismo cinese” o di “cinesità” e
chi contribuisce maggiormente al mantenimento di questo fenomeno,
il mercato o gli artisti stessi?

Il rapporto tra l’artista e lo spazio
È praticamente impossibile evitare di prendere in considerazione il
“simbolismo cinese” o la “cinesità” nel rapporto tra spazio e artista,
data l’ampiezza e la portata di questo rapporto. Ma è comunque
preferibile non rifarsi al “simbolismo cinese” per denunciare simboli
nazionali stereotipati; inoltre, l’identità cinese è una parte del “simbolo
cinese” e della “cinesità”. Nondimeno, ciò non ci impedisce di
discutere in maniera approfondita di questioni che ci stanno
sinceramente a cuore, come lo spazio, il socialismo, la migrazione e la
razza. È quando tali concetti corrispondono all’opera d’arte che la
visione dell’artista e dello stratega si oscura.

I primi a interessarsi di identità e della “questione mongola” sono stati
Wu Ershan e Ren Qinga, seguiti da Zhao Liang e Shen Shaomin, che si
sono occupati delle terre di confine dello Xinjiang. Forse i nuovi media
e le nuove tecnologie si muoveranno in una direzione più ampia e
illuminata e introdurranno argomenti scientifici in grado di offrire idee
e materiali di ricerca più significativi.
Nel 2005 Wu Ershan ha ri-narrato un’ampia sezione della storia
mongola, in molti punti estremamente commovente, non per via delle
conquiste gloriose della storia ma per il modo in cui il popolo cinese
considera la propria esistenza attuale e la propria identità, la
questione delle minoranze, il rapporto tra patria e famiglia e il
progresso tecnologico. L’opera più recente di Wu Ershan, Nomadic
Plan in Outer Space
e Hurray! Hurray! di Ren Qinga affrontano il
rapporto tra la propria identità (mongola) e il meraviglioso spirito
nomade con un sentimento di identità non-territoriale.
Nel 2007 Shen Shaomin mi ha chiesto di partecipare alla postproduzione
del suo film I Am Chinese. Dopo giorni di discussione con
lui e l’artista Xu Huijing nello studio di produzione, mi sono pian piano
reso conto che i temi del dilemma identitario e dell’estinzione della
lingua trattati nel film erano un riferimento diretto ai problemi vissuti
dai primi immigrati russi in Cina. Il film è incentrato sulla vita di singoli
individui la cui esistenza rappresenta quella di chiunque altro nella
medesima situazione affrontando temi come l’identità trans-nazionale
e la risultante perdita di quella nazionale.

Lo stile e l’angolazione con cui l’opera Return to the Border di Zhao
Liang documenta la realtà delle terre di confine della Cina con la
Corea del Nord restituiscono una sorta di memoria del confine
“rosso”: si tratta di una riflessione sull’Unione Sovietica e di una resa
realistica della situazione vissuta da coloro che hanno effettivamente
vissuto nel territorio di confine.
Questi artisti formano una sorta di gruppo. Nel 2005, l’interpretazione
della Mongolia nelle installazioni di Wu Ershan e Ren Qinga costituì
una messa a fuoco visiva e concettuale a livello archeologico. I film di
Zhao Liang e Shen Shaomin, tanto quelli del 2005 che i più recenti,
affrontano tutti una frontiera visibile o invisibile, un pensiero liberale
idealizzato e tematiche antropologiche, rifacendosi a un medesimo
stile documentario e metodo di ricerca.

Conclusioni
L’idea di realizzare questa mostra è nata nel 2005. Dopo infinite letture
e lunghe discussioni con gli artisti, l’obiettivo della rassegna si è via
via ampliato e abbiamo finito per andare oltre il libro di Jack
Weatherford e l’esposizione di opere d’arte mongole. Palazzo Strozzi è
un “monumento vivente” che tende di per sé ad accentuare il legame
tra le opere d’arte e il contesto storico in cui vengono inserite.
L’elemento geopolitico è stato preso in considerazione nel progetto
della mostra e ci siamo sforzati il più possibile di evitare la questione
della “cinesità”. Soltanto dopo aver visitato il Gabinetto Vieusseux, e
in particolare la Biblioteca orientale di Palazzo Strozzi, ho cominciato a
pormi delle domande. Quella che presentiamo è effettivamente
un’immagine reale e aggiornata della Cina? Questa esposizione servirà
a creare una piattaforma di comunicazione? Gli argomenti e
l’esperienza che presentiamo nell’ambito del visibile e dell’invisibile
sono in grado di favorire un’analisi diversa dell’attuale direzione
dell’arte contemporanea cinese?
Nell’affrontare la questione principale, abbiamo dovuto anche
tenere conto del simbolismo cinese e delle leggi del mercato
globale. Ci auguriamo che questa mostra fornisca qualche
esperienza pratica. Il nostro intento non è quello di restituire
un’immagine complessiva della Cina ma di indagare alcuni aspetti
pragmatici, benché minori, della società da diversi punti di vista e di
diffondere delle idee sull’Asia provenienti da paesi o ambiti diversi.
Alla realizzazione della mostra hanno collaborato Franziska Nori,
Davide Quadrio, fondatore e direttore di Biz-Art a Shanghai, e Zhang
Wei, direttore del Vitamin Creative Space di Guangzhou.
La mostra ha ricevuto il sostegno del Tang Contemporary Art Center
di Pechino.

   
   
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