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Nel tentativo di spiegare che cosa siano
i sentimenti, comincerò facendo ai lettori una domanda: quando
riflettete su un qualsiasi sentimento, più o meno piacevole o intenso,
provato in passato, che cosa identificate quale suo contenuto? Non vi
sto interrogando sulla causa, né sull’intensità o
sulla valenza positiva o negativa di quel sentimento; e nemmeno sui pensieri
che si presentarono alla vostra mente nella scia di quell’esperienza.
In realtà, qui io intendo i contenuti mentali, gli ingredienti,
la materia, di cui è fatto un sentimento. Affinché questo
esperimento puramente mentale funzioni, vi darò qualche spunto:
pensate di starvene sdraiati sulla sabbia mentre il sole del tramonto
vi accarezza dolcemente la pelle e l’acqua del mare lambisce i vostri
piedi; dietro di voi c’è un fruscio di aghi di pino, mossi
da una leggera brezza estiva; la temperatura è di circa venticinque
gradi e in cielo non c’è neppure una nube. Prendetevela comoda
e assaporate la scena.
Supponiamo che non siate mortalmente annoiati e che, al contrario, vi
sentiate molto bene; anzi, troppo bene, come un mio amico ama dire. La
domanda ora è: in che consiste quel “sentirsi bene”?
Vi darò solo qualche indizio. Forse il tepore che sentite sulla
pelle è piacevole. Il respiro è facile, dentro-fuori, inspirazione-espirazione,
libero da qualsiasi resistenza a livello del torace o della gola. I muscoli
sono rilassati e non percepite alcun senso di tensione articolare. Sentite
il vostro corpo senza peso, a contatto con la terra, ma al tempo stesso
leggero. Avete il controllo sul vostro organismo e ne percepite il funzionamento
fluido e senza intoppi: nessun dolore, semplicemente perfetto. L’energia
per muovervi non vi manca, ma per qualche motivo preferite restarvene
tranquilli – una paradossale combinazione di potenzialità
da una parte, e di godimento dell’immobilità dall’altra.
In breve, il vostro corpo vi dà sensazioni diverse rispetto a numerose
dimensioni, alcune delle quali assolutamente evidenti e localizzabili,
altre più elusive. Per esempio, sebbene percepiate il benessere
e l’assenza di dolore – e sebbene la localizzazione di tale
fenomeno sia il corpo con tutte le sue funzioni –, la sensazione
è talmente diffusa da rendervi difficile descrivere con precisione
dove si stia verificando.
E poi vi sono le conseguenze mentali dello stato appena descritto. Quando
riuscite a distogliere l’attenzione dall’assoluto benessere
del momento, e a potenziare le rappresentazioni mentali non direttamente
pertinenti al vostro corpo, scoprite in voi una mente piena di pensieri,
i cui temi creano una nuova ondata di sentimenti piacevoli. Ecco emergere,
insieme a scene effettivamente godute in passato, l’immagine di
eventi pregustati con desiderio. Scoprite anche d’avere una disposizione
mentale – come dire? – felice. Avete adottato una modalità
di pensiero in cui le immagini sono bene a fuoco e fluiscono copiose e
senza sforzo. Tutta questa positività ha due conseguenze: la comparsa
di pensieri il cui tema è consono all’emozione e l’emergere
di una modalità di pensiero, uno stile di elaborazione mentale,
che aumenta la velocità di generazione delle immagini moltiplicandole.
Avvertite, come Wordsworth “ad alcune miglia dall’abbazia
di Tintern”, “dolci sensazioni… nel sangue, dentro il
cuore” e scoprite che quelle sensazioni sono “perfino nella
parte più pura della mente, e capaci d’infondervi un quieto
ristoro”. Le entità che siete soliti considerare come “corpo”
e “mente” si sono armoniosamente fuse. Ogni conflitto sembra
ora placato. Gli opposti paiono meno opposti.
Ciò che definisce la piacevole percezione di simili istanti, rendendola
meritevole del termine distintivo di “sentimento” e differenziandola
così da qualsiasi altro pensiero, è – direi –
la rappresentazione mentale del corpo o di alcune sue parti come entità
operanti in un modo particolare. Il sentimento, nel senso più stretto
e rigoroso del termine, è l’idea che il corpo sia in un certo
modo. In questa definizione si può sostituire “idea”
con “pensiero” e “percezione”. Se guardiamo al
di là dell’oggetto che ha causato il sentimento – e
i pensieri e la modalità di pensiero conseguenti – vediamo
precisarsi il suo nucleo: i contenuti del sentimento consistono nella
rappresentazione di un particolare stato del corpo. Gli stessi commenti
sarebbero pienamente applicabili ai sentimenti di tristezza e di qualsiasi
altra emozione, come pure ai sentimenti degli appetiti e di qualunque
sequenza di reazioni regolatrici abbia luogo nell’organismo. I sentimenti,
nell’accezione adottata in questo libro, non insorgono solo dalle
emozioni vere e proprie, ma da qualsiasi insieme di reazioni omeostatiche,
e traducono nel linguaggio della mente lo stato vitale in cui versa l’organismo.
Qui, io suggerisco che esistano “modalità corporee”
distinte risultanti da diverse reazioni omeostatiche, dalle più
semplici alle più complesse. Esistono anche oggetti induttori distinti,
e altrettanto distinti pensieri conseguenti alla reazione, e modalità
di pensiero corrispondenti. La tristezza, per esempio, si accompagna a
una minor produzione di immagini alle quali viene tuttavia prestata maggiore
attenzione: una situazione opposta al rapido susseguirsi di immagini –
che peraltro ricevono un’attenzione brevissima – tipico della
felicità. I sentimenti sono percezioni, e io propongo che la loro
percezione trovi il necessario supporto nelle mappe cerebrali del corpo.
Una certa variazione del piacere o del dolore è un contenuto costante
di quella percezione che chiamiamo sentimento.
Accanto alla percezione del corpo c’è sia quella di pensieri
con temi consoni all’emozione, sia quella di una certa modalità
di pensiero – uno stile di elaborazione mentale. Come avviene tale
percezione? Essa deriva dalla costruzione di metarappresentazioni dei
processi mentali, un’operazione di livello superiore in cui una
parte della mente ne rappresenta un’altra. Questo ci permette di
registrare un rallentamento o un’accelerazione dei nostri pensieri,
a seconda che prestiamo loro maggiore o minore attenzione o che i pensieri
raffigurino oggetti o eventi cogliendoli, a seconda dei casi, da vicino
o da lontano. La mia ipotesi, allora, presentata sotto forma di definizione
provvisoria, è che un sentimento sia la percezione di un certo
stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità
di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti. I sentimenti
emergono quando il semplice accumulo dei dettagli registrati nelle mappe
raggiunge un certo stadio. Da una prospettiva diversa, Suzanne Langer
ha colto la natura di quell’emergere dicendo che il processo viene
avvertito quando l’attività di una parte del sistema nervoso
raggiunge un’“altezza critica”. Il sentimento è
una conseguenza del processo omeostatico in corso, il passo successivo
del ciclo.
L’ipotesi appena esposta è incompatibile con la concezione
secondo la quale i sentimenti (o le emozioni, quando emozione e sentimento
sono usati come sinonimi) sarebbero essenzialmente una collezione di pensieri
con un contenuto consono a una particolare descrizione – per esempio,
nel caso della tristezza, pensieri relativi a situazioni di perdita. Io
credo che questa concezione svuoti in modo irrimediabile la nozione di
sentimento. Se i sentimenti fossero davvero insiemi di pensieri con determinati
temi, come potrebbero distinguersi da altri pensieri? Come potrebbero
conservare quell’individualità funzionale che ne giustifica
lo status di processi mentali speciali? A mio avviso, i sentimenti sono
funzionalmente distinti perché la loro essenza consiste nei pensieri
che rappresentano il corpo nel suo coinvolgimento in un processo reattivo.
Togliete quell’essenza, e il concetto di sentimento svanisce. Togliete
quell’essenza, e nessuno potrà più dire: “Mi
sento” felice; dovrà dire piuttosto: “Penso pensieri
felici”. Tutto questo, però, solleva una domanda legittima:
che cos’è che rende “felici” i pensieri? Se noi
non sperimentassimo un certo stato corporeo caratterizzato da una certa
qualità che chiamiamo piacere e che consideriamo “buona”
e “positiva” nel contesto della nostra vita, non avremmo più
alcuna ragione per considerare felice – o triste – qualsiasi
pensiero.
Per come la vedo io, l’origine delle percezioni che costituiscono
l’essenza del sentimento è chiara: c’è un oggetto
generale – il corpo – costituito di molte parti continuamente
registrate in molteplici strutture cerebrali. Chiari sono anche i contenuti
di quelle percezioni: i diversi stati del corpo descritti dalle mappe
cerebrali, scelti in un’ampia gamma di possibilità. La micro-
e la macrostruttura dei muscoli in tensione, per esempio, sono un contenuto
diverso da quello dei muscoli rilassati. Lo stesso vale per lo stato del
cuore quando batte rapidamente o lentamente e per la funzione di altri
apparati – respiratorio, digerente – la cui attività
può procedere in modo tranquillo e armonioso, oppure con difficoltà
e scarsa coordinazione. Un altro esempio, forse il più importante,
è quello della composizione del sangue rispetto ad alcune molecole
dalle quali dipende la nostra vita, e la cui concentrazione è rappresentata,
istante per istante, all’interno di specifiche regioni cerebrali.
Lo stato particolare di quelle componenti del corpo, così come
è ritratto nelle mappe cerebrali, è un contenuto delle percezioni
che costituiscono i sentimenti. I substrati immediati dei sentimenti sono
dunque le mappe di miriadi di aspetti di stati corporei diversi, nelle
regioni del cervello deputate all’elaborazione sensoriale, designate
a ricevere segnali afferenti da tutto il corpo.
Qualcuno potrebbe obiettare che, a quanto pare, noi non registriamo in
modo cosciente la percezione di tutti questi stati corporei. E in effetti,
grazie a Dio, non le registriamo tutte. Alcuni di quegli stati sono sperimentati
in modo assolutamente specifico e non sempre piacevole – basti pensare
a un’aritmia cardiaca, a una contrazione dolorosa dell’intestino,
eccetera. Ma nel caso della maggior parte delle altre componenti, io ipotizzo
che siano percepite in una forma “composita”. Alcune configurazioni
chimiche del milieu interno, per esempio, si manifestano a noi come sensazioni
di fondo di energia, affaticamento o malessere. Noi percepiamo anche l’insieme
delle modificazioni comportamentali che poi diventano appetiti e desideri.
Ovviamente non “percepiamo” la caduta del livello ematico
di glucosio al di sotto del suo valore soglia accettabile; ne sperimentiamo
tuttavia rapidamente le conseguenze: compaiono certi comportamenti (per
esempio il desiderio di cibo); i muscoli non obbediscono più ai
nostri comandi; ci sentiamo stanchi.
Provare un certo sentimento, per esempio il piacere, significa percepire
che il corpo si trova in una certa disposizione, il che richiede l’esistenza
di mappe sensoriali contenenti determinate configurazioni neurali e dalle
quali si possano ricavare immagini mentali. Avverto il lettore che l’emergere
delle immagini mentali dalle configurazioni neurali non è un processo
pienamente chiarito (esiste, nella nostra comprensione di tale processo,
una lacuna della quale ci occuperemo, ma ne sappiamo abbastanza per ipotizzare
che esso sia sostenuto da substrati identificabili – nel caso dei
sentimenti, da diverse mappe dello stato corporeo, in diverse regioni
cerebrali – e implichi, in tempi successivi, complesse interazioni
fra quelle regioni. Il processo non è localizzato in un’unica
area cerebrale.
In breve, il contenuto essenziale dei sentimenti è la mappa di
un particolare stato corporeo; il substrato dei sentimenti è l’insieme
delle configurazioni neurali corrispondenti allo stato del corpo e dalle
quali può emergere un’immagine mentale di quello stato. Essenzialmente,
un sentimento è un’idea – un’idea del corpo e,
in particolare, un’idea di un certo aspetto del corpo, del suo interno,
in determinate circostanze. Il sentimento di un’emozione è
l’idea del corpo nel momento in cui esso è perturbato dall’emozione.
Come vedremo nelle prossime pagine, tuttavia, è poco probabile
che la rappresentazione del corpo in mappe, che costituisce la parte essenziale
di questa ipotesi, sia diretta come la immaginava William James.
Empatia
È evidente che il cervello può simulare internamente alcuni
stati corporei emozionali, come accade nel pro- cesso in cui la compassione,
che è un’emozione, si trasforma in un sentimento di empatia.
Immaginiamo che qualcuno vi racconti di un orribile incidente in cui una
persona è rimasta gravemente ferita. Può darsi che per un
attimo sentiate una fitta di dolore che rispecchia, nella vostra mente,
il dolore dell’individuo in questione. Vi sentite come se foste
voi la vittima, e il sentimento può essere più o meno intenso,
a seconda della portata dell’incidente o della vostra conoscenza
della persona coinvolta. Il meccanismo che si presume produca questa sorta
di sentimento è una varietà di quello che ho chiamato circuito
corporeo “come se”. Esso implica, a livello cerebrale, una
simulazione interna che consiste nella rapida modificazione delle mappe
dello stato corrente del corpo. Ciò accade quando certe regioni
cerebrali, per esempio le cortecce prefrontali/premotrici, segnalano direttamente
alle regioni somatosensitive del cervello. L’esistenza e la localizzazione
di tipi analoghi di neuroni è stata stabilita di recente. Quei
neuroni possono rappresentare, nel cervello di una persona, i movimenti
che quello stesso cervello vede in un altro individuo, e inviare segnali
alle strutture sensomotorie in modo che i movimenti corrispondenti siano
“visti in anteprima” in una modalità di simulazione,
oppure effettivamente eseguiti. Questi neuroni sono davvero presenti nella
corteccia frontale delle scimmie e degli esseri umani, e sono noti come
“neuroni specchio”. Io credo che il circuito “come se”
da me postulato nell’Errore di Cartesio faccia ricorso a una variante
di questo meccanismo.
Il risultato della simulazione diretta degli stati corporei nelle regioni
somatosensitive non è diverso da quello della filtrazione di segnali
provenienti dal corpo. In entrambi i casi, temporaneamente, il cervello
crea una serie di mappe del corpo che non corrispondono esattamente allo
stato reale in cui esso si trova. Il cervello usa i segnali afferenti
dalla periferia come creta per scolpire un particolare stato del corpo
nelle regioni dove è possibile costruire una tale rappresentazione,
ossia nelle regioni somatosensitive. Quello che si sente, allora, è
basato su quella “falsa” costruzione, e non sul “reale”
stato del corpo.
Uno studio recente, condotto da Ralph Adolphs ha affrontato direttamente
il problema degli stati corporei simulati. Lo studio mirava a indagare
le basi dell’empatia e coinvolse più di cento pazienti con
lesioni neurologiche localizzate in vari siti della corteccia cerebrale,
ai quali si chiese di partecipare a un compito che comportava il tipo
di processo necessario per le risposte di empatia. A ogni soggetto furono
mostrate le fotografie di una persona sconosciuta che esibiva una qualche
espressione emozionale; il compito consisteva nell’indicare che
cosa stesse provando la persona fotografata. I ricercatori chiesero a
ciascun soggetto di mettersi nei panni della persona raffigurata e di
cercare di indovinare il suo stato mentale. L’ipotesi che si intendeva
verificare era la seguente, e cioè che pazienti con lesioni alle
cortecce somatosensitive non sarebbero stati in grado di eseguire normalmente
questo compito.
La maggior parte dei pazienti se la cavò facilmente, con la stessa
precisione mostrata da sogget-ti normali, tranne due gruppi specifici
di individui, la cui prestazione risultò compromessa. Il primo
gruppo era abbastanza prevedibile, essendo costituito da individui con
danni localizzati alle cortecce associative visive, soprattutto quella
della regione occipito-temporale ventrale destra. Questo settore del cervello
è essenziale per la stima di configurazioni visive. Se la sua integrità
viene a mancare, le espressioni facciali esibite nelle fotografie non
possono essere percepite come un tutto unitario, nonostante le immagini
siano “viste” nel senso generale del termine.
L’altro gruppo di pazienti era quello più significativo:
consisteva di soggetti con danni localizzati nella regione delle cortecce
somatosensitive di destra e, più precisamente, nell’insula,
nella S2 e nella S1. Questo è l’insieme delle regioni in
cui il cervello realizza il più alto livello di rappresentazione
integrata dello stato del corpo. In assenza di questa regione, il cervello
non può simulare gli stati corporei altrui in modo efficace. Manca
infatti del palcoscenico su cui rappresentare le variazioni sul tema dello
stato del corpo.
Il fatto che la regione corrispondente nell’emisfero cerebrale sinistro
non abbia la stessa funzione è di grande significato fisiologico.
Pazienti con danni localizzati al complesso delle regioni somatosensitive
di sinistra eseguivano normalmente il test dell’“empatia”.
Questo risultato è un altro indice di come le cortecce somatosensitive
destre siano “dominanti” per quanto riguarda la rappresentazione
corporea integrata. Esso serve anche a spiegare come mai il danno localizzato
in questa regione sia costantemente associato a difetti interessanti l’emozione
e il sentimento, e a patologie note come anosognosia e negletto, alla
cui base è un’idea difettosa dello stato corrente del corpo.
L’asimmetria tra destra e sinistra nella funzione delle cortecce
somatosensitive dell’uomo è probabilmente dovuta all’impegno
specifico di quelle di sinistra nel linguaggio e nell’eloquio.
Altre conferme provengono da studi in cui individui normali, osservando
fotografie raffiguranti emozioni, attivavano immediatamente i muscoli
facciali necessari per assumere essi stessi l’espressione raffigurata
nelle immagini. Sebbene i soggetti non fossero consapevoli di questa “predisposizione”
speculare dei propri muscoli, gli elettrodi posizionati sul loro volto
registravano le alterazioni elettromiografiche.
Riassumendo, le aree somatosensitive costituiscono una sorta di teatro,
dove non solo possono essere “rappresentati ed esibiti” gli
stati corporei reali, ma è possibile mettere in scena anche un
vasto assortimento di stati corporei “falsi”: per esempio,
stati corporei “come se”, stati corporei filtrati, e così
via. Probabilmente, i comandi per produrre gli stati corporei “come
se” provengono da numerose aree delle cortecce prefrontali, come
hanno indicato recenti ricerche sui neuroni specchio negli animali e nell’uomo.
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