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Pubblicazione Prefazione di James M. Bradburne Sistemi Emotivi di Franziska Nori |
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"Che
cosa sono i sentimenti" Antonio Damasio |
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Tracciando un percorso filosofico e culturale, arricchito da esempi basati sulla letteratura, ma anche sull’esperienza umana quotidiana, il filosofo Peter Goldie considera il ruolo della cultura, della conoscenza e dell’evoluzione all’interno dello sviluppo delle esperienze emotive e della consapevolezza dei sentimenti. Egli afferma che, solo partendo da un punto di osservazione e di esperienza personale, i pensieri, le capacità, i sentimenti e le azioni si manifestano e acquistano valore. La sua interessante dissertazione rafforza l’idea della centralità dei sentimenti e degli stati d’animo (emozione indeterminata) nell’esperienza emozionale più complessa (emozione determinata), dichiarando che “la storia, come l’esperienza emotiva, è permeata della nostra interpretazione di noi stessi come parte del processo, che influenziamo e da cui siamo influenzati”. | |
Le emozioni Peter Goldie |
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[…] Provare un’emozione per qualcosa
di esterno (l’oggetto dell’emozione) significa riconoscere
caratteristiche, proprietà particolari o un certo modo di essere
nella cosa che suscita il nostro sentimento. L’intenzionalità
di relazione col mondo, tipica dell’emozione orientata all’esterno,
differenzia quest’ultima dalla sensazione fisica che è priva
della necessaria intenzionalità “diretta” (opposta
a quella derivata). A nessun livello la sensazione fisica può da
sé rivelare il contenuto dell’emozione; l’associazione
di idee procede dall’emozione per qualcosa alla
sensazione fisica, perciò, se non sai verso che cosa sono orientati
i tuoi pensieri e sentimenti, non potrai comunque scoprirlo solo con l’introspezione
e l’analisi delle tue sensazioni corporee. Né, d’altra
parte, il sentimento verso qualcosa può essere rivolto verso la
propria condizione psicologica o fisica: questo tipo di sentimento è
certo possibile (puoi sentirti disgustato dal tuo stesso costante desiderio
di cioccolata o frustrato a causa dell’artrite che ti irrigidisce
le dita), ma il caso più diretto e consueto è il sentimento
indirizzato all’esterno. Mi auguro che queste riflessioni non si limitino soltanto a mettere in discussione l’idea che l’intenzionalità delle emozioni possa essere pienamente resa in termini di attitudini prive di sentimento, ma, in modo più positivo, spero che contribuiscano a rafforzare l’idea della centra- lità dei sentimenti nell’esperienza emozionale. L’esistenza di sentimenti fisici, come li ho chiamati sopra, è relativamente fuori discussione, benché molti possano non concordare con ciò che ho affermato in proposito e con la nozione di intenzionalità derivata. Riguardo a quelli che ho definito sentimenti orientati verso l’esterno, mi auguro di aver dimostrato in modo sufficientemente chiaro come tale nozione rispetti l’essenziale combinazione emozioni/intenzionalità. Oltre a ciò, ammettere che esistano emozioni orientate a un oggetto esterno rende possibile la spiegazione di altri aspetti importanti dell’esperienza emotiva: il fatto che le emozioni sono passive e non interamente sotto il nostro controllo; la possibilità dell’impenetrabilità cognitiva e quella della debolezza emotiva o akrasia. […] Benché emozioni e stati d’animo possano essere distinti in base al grado di specificità dei loro oggetti, tale distinzione non è sempre netta per due motivi. Prima di tutto perché non è necessario che le emozioni siano dirette verso oggetti pienamente specifici, nel senso di oggetti che possono essere individuati in modo dimostrativo o precisamente descritti dalla persona che sperimenta l’emozione. La nostra paura quando ci svegliamo nel mezzo della notte è un’emozione autentica, anche se possiamo non essere capaci di spiegare se a farci paura sono le strane sagome create dalle ombre sulla parete o il rumore che ci ha svegliati o il buio. In secondo luogo, vi sarà sempre un qualche grado di specificità nell’oggetto dello stato d’animo, anche se riusciamo a descriverlo solo in termini di “tutto” o “nulla in particolare”. Uno stato d’animo implica dei sentimenti verso un oggetto tanto quanto un’emozione, anche se, come ho già detto, l’oggetto del sentimento è meno specifico nel caso dello stato d’animo. Vediamo ora di elaborare queste osservazioni. Nel delineare una distinzione tra emozione e stato d’animo – tra rabbia e irritabilità o tra paura e apprensione, ad esempio – occorre sempre tener presente il fatto che generalmente, emozioni e stati d’animo hanno anche molto in comune. In effetti, risulta che emozioni e stati d’animo caratteristici possono benissimo essere interpretati come differenti varietà di una medesima emozione. Le emozioni e il posto che occupano nella nostra vita sono il filo conduttore
del romanzo di Robert Musil L’uomo senza qualità.
Il protagonista di quest’opera visionaria, ambientata a Vienna nel
periodo immediatamente antecedente alla Prima guerra mondiale, è
Ulrich, l’uomo senza qualità, appunto. Il romanzo è
incompiuto, ma sono attualmente in corso di traduzione alcuni scritti
postumi dell’autore, comprese le prime stesure di alcuni capitoli
in cui Musil ha rielaborato materiali presi dai primi capitoli del romanzo.
Essi contengono tra l’altro un’estesa dissertazione filosofica
sulla natura delle emozioni, sia in forma di brani estratti dal diario
di Ulrich, sia in forma di considerazioni che lo stesso Ulrich fa raccogliendo
le idee prima di scrivere il diario. È chiaro che non siamo in
grado di determinare la misura in cui le opinioni espresse da Ulrich rispecchiano
le convinzioni dell’autore, ma questo non è importante ai
nostri fini. […] Vorrei qui enucleare solo due idee in particolare,
utili per la nostra discussione: l’idea dello sviluppo
e del consolidamento tra azione e emozione; e l’idea, già
menzionata, che emozione e stato d’animo differiscono in quanto
rispettivamente emozione determinata e indeterminata. Un’emozione
è uno stato relativamente complesso e coinvolge episodi del passato
e del presente che riguardano il pensiero, i sentimenti e le trasformazioni
fisiche, correlati in modo dinamico a formare la mappa narrativa di parte
della vita di una persona, insieme con la disposizione a sperimentare
nuovi episodi emozionali, ad agire sull’impulso dell’emozione
e ad esprimere quell’emozione. L’espressione dell’emozione
e le azioni che ne derivano, benché non siano parte dell’emozione
stessa, sono pur sempre parte della mappa narrativa che corre attraverso
– e oltre – l’emozione, in un rapporto di reciproco
rafforzamento e risonanza con quell’emozione e con tutte le altre,
come pure con gli stati d’animo, i tratti distintivi, le azioni
ulteriori. [Ulrich] aveva a sua disposizione una quantità di esempi:
piacere, amore, collera, diffidenza, generosità, ribrezzo, invidia,
scoraggiamento, angoscia, desiderio… e li ordinò mentalmente
in una serie. Poi ne formò una seconda: benevolenza, tenerezza,
irritabilità, sospettosità, elevatezza, pavidità,
nostalgia... alla quale mancavano solo gli anelli per cui non trovava
nomi. Confrontò le due serie: l’una conteneva sentimenti
definiti, quali sono suscitati in noi da una coincidenza precisa, l’altra
sentimenti vaghi che sono tanto più forti in quanto non si sa che
cosa li abbia destati; e tuttavia erano in entrambe gli stessi sentimenti,
qui in uno stato generale, là in uno stato particolare. “Dirò
dunque che in ogni sentimento occorre distinguere un’evoluzione
verso la determinatezza e una verso l’indeterminatezza.” [...] E tuttavia, insiste Musil, le emozioni determinate non giungono a una fine. [...] Bisognava anche ammettere che il primo germe d’un sentimento poteva sempre servire a produrre un altro sentimento, e che nessuno di questi nel suo sviluppo e consolidamento poteva mai giungere a un termine definitivo. Ma se questo era esatto, non soltanto nessun sentimento poteva giungere a una piena determinatezza, ma era anche assai probabile che nessuno acquistasse mai un’assoluta indeterminatezza, e allora non potevano esservi né sentimenti veramente determinati, né sentimenti veramente indeterminati. E infatti accade quasi sempre che le due possibilità del sentimento si uniscano in una sola realtà comune, dove predomina la particolarità dell’una o dell’altra. Non vi è “disposizione d’animo” che non contenga anche sentimenti determinati, i quali si formano e si dissolvono in essa; e non vi è sentimento determinato che almeno là dove si può dire di esso che “irradia”, “cinge”, “agisce per sé stesso”, “si estende” o influisce “direttamente” sul mondo senza movimento esteriore, non lasci intravvedere le caratteristiche dell’indeterminato. È vero però che vi sono sentimenti che corrispondono con notevole approssimazione all’uno o all’altro tipo. Abbiamo un’idea piuttosto chiara della natura di un’azione dettata dall’emozione, dove l’emozione è stata suscitata da un determinato incontro che ci spinge all’azione, come sostiene Musil. Qui, emozione e azione possono essere rese intelligibili in riferimento a una gamma di credenze, desideri, e sentimenti specifici indirizzati verso l’oggetto dell’emozione. Al contrario, non abbiamo un’idea così chiara di cosa sia un’azione dettata dallo stato d’animo, il cui grado di determinatezza non è generalmente sufficiente per spiegare azioni specifiche, cioè azioni che trovano la loro spiegazione in credenze, desideri e sentimenti rivolti a un oggetto esterno. Ciò nondimeno, uno stato d’animo può concretarsi sia in un’azione espressiva, sia in espressioni non assimilabili ad azioni vere e proprie (piangere, aggrottare le ciglia, sollevare il mento). […] Alcune azioni che compiamo normalmente, pur non avendo in sé nulla a che fare con l’emozione, possono essere espressive (sbattiamo la porta con rabbia). Talvolta questa espressività avverbiale, come l’ho definita, è intenzionale, in altri casi non lo è. Una simile espressività avverbiale ha a che fare con lo stato d’animo: ci si trascina tristemente su per le scale verso il letto; ci si avvia al lavoro con passo energico, e via dicendo. Nella maggior parte dei casi tali espressioni avverbiali dello stato d’animo non sono intenzionali. (Se lo fossero, le si potrebbe spiegare nei termini di mezzo-fine, credenza-desiderio. […] Ad esempio, ti trascini su per le scale per mostrare a qualcuno che stasera ti senti triste.) Così, a dispetto del loro carattere indeterminato, in questo senso avverbiale anche gli stati d’animo (mutevoli “come le nuvole”) danno forma all’azione. Gli stati d’animo possono manifestarsi anche in altri generi di espressione. Ad esempio, sono depresso e trovo così disperatamente triste una banale pubblicità televisiva da scoppiare a piangere in modo incontrollabile; oppure sono irritabile (nei confronti di nessuno in particolare) e guardo in cagnesco il pensionato in fila davanti a me che armeggia coi soldi, tanto che stringo i pugni; o ancora, sono ansioso (per tutto e niente) e non faccio che toccare il nodo della cravatta per assicurarmi che non sia storta. Il fatto che tali espressioni di stati d’animo si aggancino a qualcosa di specifico e manifesto sembra confermare che il senso di irritabilità, ad esempio, si è “combinato nella realtà” – per tornare a Musil – con la rabbia nei confronti del pensionato in fila. Ma, mentre il pensionato scompare dalla scena, il sentimento indeterminato dell’irritabilità permane, non lo stesso di prima, ma sviluppato e consolidato dal mio stesso modo di esprimerlo e dalla relativa collera specifica nei confronti del pensionato. Perciò, gli stati d’animo come le emozioni possono rivelare la loro tendenza alla determinatezza tramite la loro espressione. Tale espressione non tende a portare lo stato d’animo in un vicolo cieco, quanto piuttosto a dargli una forma e a consolidarlo, forse attenuandolo un poco, ma senza portarlo a compimento. Lo stato d’animo può focalizzarsi perciò in un’emozione. Sviluppando il tema trattato da Musil, vediamo anche come l’emozione possa sfocare nell’indistinta indeterminatezza dello stato d’animo. Le emozioni determinate, dice Musil, muoiono nell’azione; ma, possiamo aggiungere ora, possono continuare a vivere nello spirito. Sono arrabbiato con una persona e la mia rabbia implica, si presume, un desiderio proporzionato e appropriato di vendetta. Ora, la mia rabbia, l’emozione specifica, può essere scaricata tramite la soddisfazione di questo desiderio: posso ad esempio colpire la persona che mi ha fatto infuriare. A questo punto posso dire che la mia collera è finita: non sono più arrabbiato (l’emozione è giunta a un termine) perché il desiderio implicito è stato soddisfatto. Questo è, quantomeno superficialmente, corretto. Tuttavia, un cospicuo residuo dell’esperienza emozionale rimane nella mia mente. Posso ricordare (consciamente o inconsciamente) la collera; posso rivisitare l’avvenimento in sogno; nelle mie fantasticherie diurne posso reinterpretare in senso immaginativo l’evento, abbellito forse grazie a un po’ di esprit d’escalier; e l’emozione “specifica” può andare fuori fuoco e confondersi nella forma indistinta della non-specificità continuando a colorare il mio modo di pensare e di sentire nei confronti del mondo come “il cielo muta i suoi colori” per dirla con Musil. Questo sviluppo sarà particolarmente evidente quando il desiderio appropriato e proporzionato che è stato soddisfatto è sostenuto a livello più profondo da un desiderio più oscuro e potente che, ben lungi dall’essere appropriato e proporzionato, non è stato affatto soddisfatto, se non nel senso simbolico e sbiadito dell’azione espressiva. Ora, spesso i desideri impliciti nelle nostre emozioni – compresi quelli appropriati e proporzionati – non vengono soddisfatti: non posso picchiare la persona con la quale sono in collera perché è troppo forte o troppo importante, oppure perché sono troppo orgoglioso per mostrare la mia rabbia (cfr. Solomon). Così la rabbia può giungere a un termine senza che io abbia soddisfatto il desiderio a essa collegato: come spesso accade, invece di trovare soddisfazione nell’agire, il desiderio insoddisfatto appassisce come un frutto mai colto e muore. Semplicemente, la vita continua, altre cose diventano importanti e la mia rabbia, di cui il desiderio è parte, si dissolve come un gas velenoso nell’aria limpida. E tuttavia la collera continua a risuonare nella mia psiche in modo indeterminato, assumendo un grado di intensità forse addirittura maggiore di quanto non sarebbe stato se il desiderio avesse trovato una gratificazione. Può sembrare una domanda bizzarra, eppure è importante:
che cosa ne è dei desideri insoddisfatti? Le metafore utilizzate
– il frutto appassito, il gas che si libera nell’aria –
rendono adeguatamente l’idea del residuo. Ma non tutti i desideri
insoddisfatti sono uguali. Alcuni decadono semplicemente perché
perdono d’importanza col mutare delle circostanze. Ciò accade
in particolare coi desideri condizionati dal tempo. Ad esempio desidero
andare in piscina nel pomeriggio; alle dieci di sera però non ho
più possibilità di scelta e il desiderio decade. Anche altri
desideri che non sono (o almeno non in maniera palese) legati al tempo
possono decadere. Possiamo desiderare ad esempio di andare a vedere un
film appena uscito in sala, ma i giorni passano e l’opportunità
non si presenta finché un giorno degli amici ci propongono di andarlo
a vedere e – con nostra grande sorpresa – l’idea non
ci appare più così attraente. Il desiderio di vedere quel
film aveva una sorta di “data di scadenza” nascosta (o forse
è meglio dire che la data di scadenza riguardava il film) di cui
non eravamo consapevoli. Ma i desideri insoddisfatti o frustrati associati
con le emozioni non assomigliano generalmente a questi altri generi di
desideri nel senso che non decadono direttamente e neppure perdono di
intensità regredendo a un’aspirazione indistinta. Al contrario,
possono rimanere (come i frutti appassiti e il gas velenoso) in forma
di residuo. Il desiderio (e l’emozione di cui faceva parte) può
essere dimenticato, ma non è necessario che sia cancellato dalla
memoria. Possiamo collegare questa analisi con la genealogia della morale degli schiavi secondo Nietzsche, per il quale la rabbia e il desiderio di vendetta frustrato dei deboli sfociano in quello che il filosofo definisce ressentiment. Scrive Nietzsche: “Lo stesso ressentiment dell’uomo nobile, quando si manifesta in lui, arriva al massimo o si esaurisce in una reazione immediata e quindi non intossica”; mentre “l’uomo del ressentiment non è né onesto, né ingenuo, né vero con se stesso. La sua anima è strabica” (Genealogia della morale, saggio primo, sezione 10). Qui possiamo vedere il modo in cui l’emozione e lo stato d’animo, sviluppati e consolidati tramite l’azione o l’inazione, non si intrecciano soltanto l’una con l’altro, ma anche con i tratti distintivi della personalità. L’individuo che prova rabbia verso qualcuno in particolare può permanere in uno stato di ressentiment a causa della frustrazione dei suoi desideri e questo sentimento – ora più indeterminato e rivolto alle cose in generale – può consolidarsi in un tratto distintivo: egli diventa così una persona piena di risentimento, abitualmente disposta a nutrire pensieri e sentimenti di rancore nei confronti di ogni genere di cose e persone. Analogamente, l’innamorato piantato in asso può sviluppare amarezza e disprezzo per il mondo e anche questo può consolidarsi in un preciso tratto. Oltre a ciò, quello che all’inizio si presenta come espressione di uno stato d’animo può trasformarsi in un manierismo ricorrente (un comportamento di cui generalmente non si è consapevoli), rivelatore di un tratto acquisito e non di una disposizione d’animo: l’uomo triste che cammina curvo per la strada, l’espressione di disgusto nei confronti del genere umano perennemente stampata sul volto della donna che incontriamo in autobus. Per parafrasare Proust: i lineamenti del nostro volto sono poco più che gesti resi permanenti dalla forza dell’abitudine. Come nella distruzione di Pompei, come nella metamorfosi della ninfa, la natura ci ha fissato per sempre in un movimento abituale. Da queste osservazioni sul ressentiment potremmo ricavare l’idea che è bene evitare di trattenere le nostre reazioni emotive, soprattutto quelle negative, per paura che i sentimenti impliciti si annidino nel nostro animo fino a formare una cicatrice permanente. Ma sarebbe un’inter- pretazione errata. Non sono un sostenitore dell’espressione disinibita dell’emozione a tutti i costi: se è più prudente reprimere la reazione e controllare il desiderio inappropriato o sproporzionato, allora è meglio fare così. L’idea è piuttosto quella che se non affrontiamo i nostri sentimenti e le nostre reazioni represse e non le riconosciamo per quello che sono veramente, allora è possibile, come dice Nietzsche, che la nostra anima diventi strabica. […] |
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Il libro del filosofo inglese Peter Goldie, The Emotions: A Philosophical Exploration, Oxford Clarendon Press, 2000, è ancora inedito in Italia. Le parti che qui riportiamo (dal capitolo 3 – Emotions and Feelings) sono state proposte dall’autore per questa pubblicazione e tradotte in italiano da Barbara Venturi per Scriptum, Roma. |
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