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L'arte contemporanea e il mercato

Le opere d’arte, che rappresentano il punto più alto della produzione spirituale, incontreranno il favore della società borghese soltanto se saranno considerate capaci di generare direttamente ricchezza materiale.

Karl Marx, filosofo



IL TRIONFO GLOBALE DEL CAPITALISMO

Il trionfo globale del capitalismo a cui stiamo assistendo è sul punto di trasformare non solo le singole società ma l’intero ordine mondiale e sta modificando anche l’arte contemporanea. Il capitalismo non è certamente un fenomeno nuovo. Ha radici storiche profonde che risalgono alle attività mercantili dell’inizio del XVII secolo, quando la Compagnia delle Indie Orientali britannica inviò le prime rischiose spedizioni in quei lontani territori per comprare pepe, noce moscata e chiodi di garofano da rivendere in Europa con enormi profitti. Questo metodo di procurarsi denaro – in tutto simile a quello del moderno capitalismo aziendale e finanziario – aveva avuto origine a Genova e Venezia nel XII secolo (1).

Il capitalismo consiste essenzialmente nell’investire capitale allo scopo di realizzare un profitto monetario in futuro. È quello che l’economista Robert Heilbroner ha descritto come “la continua trasformazione del capitale come denaro in capitale come merce, a cui segue la ritrasformazione del capitale come merce in capitale come denaro”. La capacità di rendere concrete le possibilità immaginate per mezzo del denaro – che a sua volta sembra moltiplicabile all’infinito – conferisce al capitalismo una qualità trascendente. In questo sistema, fondamentale è il ruolo dei mercati che mediano tutte le attività economiche quali la produzione e il consumo, la domanda e l’offerta e creano il meccanismo del prezzo centrale. Poiché i prezzi cambiano, ogni mercato rappresenta un potenziale terreno di gioco per la speculazione, ossia l’attività di chi acquista qualcosa nella previsione di rivenderlo a un prezzo più alto senza aumentarne il valore. La speculazione può riguardare qualsiasi tipo di merce, che sia il grano, una valuta, un derivato o un’opera d’arte.


LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO DELL’ARTE

Il capitalismo ha trasformato il mondo ma ha subito molte trasformazioni a sua volta. Al momento ci troviamo in una fase di sviluppo iniziata negli anni Ottanta con una ripresa delle forze di mercato, basata sulla fede del cosiddetto neoliberalismo nella libertà dell’individuo e nell’attività autonoma delle forze di mercato. Ciò assicura al singolo maggiori libertà e possibilità di scelta ma crea al contempo un numero più elevato di rischi individuali e una più grande diseguaglianza economica. Questo sistema di mercato si è esteso anche all’intero processo di creazione di valore dell’arte contemporanea – dalla produzione al marketing e all’accettazione – influenzando la carriera e le quotazioni degli artisti e persino il linguaggio dell’arte. Nel corso degli ultimi quarant’anni il mercato dell’arte contemporanea ha subito una sostanziale revisione, passando da circolo ristretto di aficionados a mercato industrializzato, che soddisfa i gusti di un numero crescente di cosiddetti “High Net Worth Individuals” (individui che dispongono di un patrimonio finanziario superiore al milione di dollari) in Europa, negli Usa e nelle potenze economiche in crescita come il Brasile, la Russia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, protese verso uno stile di vita sempre più globalizzato. La ristrutturazione del mercato dell’arte è iniziata negli anni Sessanta con l’espansione delle principali case d’asta. Una pietra miliare nella loro politica di apertura ai nuovi ricchi è stata l’introduzione dell’indice di mercato Times-Sotheby’s che, visualizzando i movimenti di prezzo delle opere d’arte, ha rappresentato il primo passo verso una nuova definizione dell’arte come oggetto d’investimento. Nel frattempo la compravendita di opere d’arte è diventata una sorta di competizione sociale tra ricchi collezionisti e una parte del mondo dell’arte si è trasformata in una sala delle contrattazioni speculative, in cui si fa un grande uso di strumenti come gli indici e i ranking non solo per misurare l’attenzione, intesa come indicatore di successo, ma anche per accelerare i trend già esistenti e rafforzare la tendenza del mercato a concentrare gli utili su pochi artisti star. Le case d’asta hanno ampliato la loro sfera d’influenza attraverso acquisizioni e fusioni con le principali gallerie d’arte contemporanea, diventando attori importanti del mondo dell’arte globale. Nello stesso tempo, le costose fiere d’arte – le mostre commerciali del settore – sono diventate i principali centri di vendita dell’arte contemporanea, superando per importanza anche le aste. Questi sviluppi hanno inciso sul modo in cui l’arte viene commercializzata, percepita e consumata. L’opera d’arte è diventata un prodotto di marca, il cui valore si definisce sempre più spesso in termini monetari. In un ambiente che sostanzialmente viene strutturato dal potere d’acquisto e non dalla sensibilità percettiva, dal giudizio estetico o dal successo di critica, la differenza tra l’arte intesa come bene culturale, status symbol e oggetto d’investimento, tra valore artistico e prezzo monetario, sembra così destinata a scomparire.


ARTE ED ECONOMIA

Il legame tra arte ed economia è sempre esistito. Come un’invisibile corrente sottomarina che attraversa la storia dell’arte, l’economia ha sempre influenzato l’arte. Di conseguenza ogni opera d’arte può essere interpretata secondo un’ottica economica. Lo storico Michael Baxandall ha dimostrato che durante il Rinascimento un fattore economico come l’accordo sul prezzo raggiunto da mecenate e pittore, che includeva l’uso di pigmenti costosi, influenzava il modo di fare arte. Analogamente l’economista Michael Montias ha riscontrato che la ricchezza dell’Olanda durante il Secolo d’oro ha condizionato l’arte dell’epoca. L’esplosione della domanda costringeva gli artisti a realizzare i dipinti più velocemente, spingendoli ad adottare uno stile più informale. Lo storico dell’arte Michael North ha a sua volta sostenuto che la diminuzione della conoscenza da parte dei compratori d’arte ha portato a un’analoga riduzione del suo contenuto. Nel corso della storia le attività economiche sono state spesso ritratte nelle opere d’arte: i cambiavalute erano un soggetto popolare nella pittura olandese del XVI secolo, mentre all’inizio del XX secolo si raffiguravano i processi e i macchinari industriali. I fotografi d’arte contemporanei come Andreas Gursky rappresentano in maniera artistica i luoghi del capitalismo globale, come le sedi delle borse e i supermercati. Anche il denaro, il medium liquido del sistema capitalistico, è stato un soggetto ricorrente: dai trompe l´oeil di banconote di William Harnett alle serigrafie di biglietti da due dollari di Warhol, alle opere di quegli artisti che hanno disegnato una propria valuta.


ARTE, PREZZO E VALORE

Considerata l’onnipresenza del sistema di mercato e dei suoi meccanismi spesso oscuri, non sorprende il fatto che oggi molti artisti adottino tematiche di tipo economico che in passato sarebbero state considerate del tutto estranee all’arte: mercati e denaro, produzione e trasformazione, consumo e possesso, credito e speculazione, prezzo e valore. Il critico d’arte francese Paul Ardenne ha scritto: “Il principale interesse dell’epoca – l’economia – rappresenta per l’arte contemporanea ciò che il nudo, il paesaggio o il mito del nuovo hanno rappresentato rispettivamente per il neoclassicismo, l’impressionismo e l’avanguardia [...] (2). L’economia fa parte della vita. Per molti artisti è una manifestazione dello zeitgeist che stimola la creatività.

La mostra Arte, prezzo e valore: l’arte contemporanea e il mercato (Art, Price and Value – Contemporary Art and the Market) illustra le diverse posizioni in cui si collocano gli artisti tra i due poli della produzione creativa e del mondo dell’economia. Essi analizzano i meccanismi onnipresenti del mercato capitalista come pure il loro impatto sull’arte e il suo valore. Le posizioni variano dalla riflessione, l’analisi e la critica all’appropriazione, al mascheramento, alla rivalutazione, alla scomposizione e al rifiuto. Sviluppando prospettive inattese, immagini poetiche e visioni alternative, questi artisti si discostano dal modo convenzionale in cui la conoscenza economica viene generata e trasmessa attraverso la ricerca accademica, l’informazione giornalistica o l’esperienza quotidiana, e propongono un’interpretazione soggettiva, giocosa e interessante delle forze economiche che oggi più che mai influenzano il nostro mondo e quello dell’arte.


GLI ARTISTI E I GIOCHI ECONOMICI

Tra gli artisti del XX secolo che hanno abbandonato la sfera dell’arte per “avventurarsi nei territori proibiti dell’economia” (3), figurano personaggi celebri come Marcel Duchamp, Yves Klein, Piero Manzoni, Marcel Broodthaers, Joseph Beuys e Hans Haacke. Le loro creazioni non rappresentano soltanto un commento ironico sui meccanismi economici ma sono espressione di una profonda riflessione sul ruolo ambiguo dell’arte in un mondo dominato dalla logica economica. Nel 1962 Yves Klein presentò un’opera concettuale con la quale metteva in vendita “zone di sensibilità pittorica immateriale” in cambio di una foglia d’oro. Nel corso di una cerimonia allestita sulle rive della Senna, l’acquirente diede a Klein una foglia d’oro ricevendone in cambio un certificato. Poiché la sensibilità dell’artista era immateriale, all’acquirente fu chiesto di bruciare il certificato mentre Klein gettava la foglia nel fiume. In quel gesto poetico si concentravano due questioni nodali come la transazione economica e il significato dell’arte. Benché la performance presentasse tutte le caratteristiche di un tipico scambio di mercato, in realtà nulla di materiale cambiava di mano. L’acquirente non comprava altro che un’idea immateriale. La vendita paradossale di qualcosa di invendibile assurgeva a negazione dell’arte intesa come oggetto materiale, che può essere fisicamente venduto, posseduto e conservato come un feticcio. In quello stesso periodo Andy Warhol, che proveniva dal settore della pubblicità, abbracciava l’idea dell’arte come merce, prodotta per un mercato. Con la celebre affermazione “Un buon affare è la migliore opera d’arte”, il pittore americano annullava ogni differenza tra artista e imprenditore, tra opera d’arte e bene di consumo, tra mondo dell’arte e mercato finanziario. La sua produzione di arte-merce di marca, quasi ricalcata sul modello industriale, rivelava che la logica dell’arte e quella del mercato erano non solo compatibili ma profondamente affini, pertanto in conformità con la tipica definizione americana del ruolo dell’artista e della funzione dell’arte nella società.

L’itinerario della mostra segue entrambe le linee di pensiero, che hanno conosciuto sviluppi diversi riflettendo i cambiamenti socio-economici degli ultimi decenni.


FUSIONE O ACQUISIZIONE

A
gli inizi dell’avanguardia l’arte e l’economia erano considerate due settori diversi con sistemi di valore distinti; una produceva valori spirituali, l’altra generava ricchezza monetaria. I due campi, in passato contrapposti, sembrano essersi fusi nelle strutture ibride di una cultura economicizzata e di un’economia culturalizzata. La culturalizzazione dell’economia è iniziata alla fine del XIX secolo con la nascita del capitalismo consumista. La democratizzazione del desiderio, il culto del nuovo e l’interesse per la moda e il design hanno legato l’innovazione alla produzione di beni di consumo, dando origine a una nuova estetica – una cultura commerciale – con l’obiettivo di muovere e vendere merci in grande quantità (4). Da allora il capitalismo consumista crea immagini e simboli allo scopo di commercializzare i prodotti e guadagnare denaro e in questo senso opera con gli stessi strumenti dell’arte. Tuttavia non dovremmo farci trarre in inganno dalla possibile confusione tra mezzi e fini: l’obiettivo ultimo dell’economia è generare profitti, quello dell’arte è approfondire l’esperienza della nostra esistenza. Come sappiamo dalle fusioni aziendali, le differenze culturali non si integrano in maniera uniforme, tanto che la maggior parte di queste operazioni non funziona nel modo sperato oppure si traduce nella prevaricazione di una cultura aziendale sull’altra. La fusione tra economia e cultura è una fusione tra pari? Oppure ci troviamo di fronte all’acquisizione di un sistema di valori da parte di un altro? Tenendo presenti le differenze sarà interessante seguire con attenzione gli sviluppi futuri.





Bibliografia

Fulcher James, Capitalism, A Very Short Introduction, Oxford, 2004

Ardenne Paul, Economics Art, l´heure du bilan, in “Ecosystèmes du monde de l´art”, Artpress, serie speciale, n. 22, 2001

Velthuis Olav, Imaginery Economics, Contemporary Artists and the World of Big Money, Rotterdam, 2005

Leach William, Land of Desire, Merchants, Power and the Rise of a New American Culture, New York, 1994




(1) Fulcher, James: Capitalism, p. 29

(2) Ardenne, Paul: Economics Art, l´heure du bilan, p. 103

(3) Velthuis, Olav: Imaginery Economics, p. 23

(4) Leach, William: Land of Desire, p. 9





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