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  Arte Ecologia Sostenibilità / 24.04 – 19.07.2009
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  Le nuove territorialità nell’area di Acre e il perché della loro importanza:note sulla speranza e sul “gioco” della coesistenza
Marjetica Potrc
   
 

La comunità del Rio Croa, composta da circa quattrocento famiglie che occupano un’area di quasi ottantamila ettari nella foresta amazzonica, vorrebbe che la loro terra diventasse una zona d’estrazione posta sotto tutela. In effetti l’area sta diventando proprio questo: una delle nuove territorialità della regione di Acre. Come tale è un ottimo esempio sia della nuova tendenza alla territorializzazione di questo stato del Brasile sia di ciò che essa rappresenta: autorganizzazione, crescita sostenibile e consapevolezza locale.
Le comunità che ho visitato, compresa quella del Rio Croa, traggono forza dalla loro identità culturale e da un’economia di tipo sostenibile. Anche se non tutte queste comunità sono forti, tutte comprendono chiaramente come queste due condizioni siano necessarie per poter prosperare. Le comunità sono molto ben collegate tra di loro, con la più vasta area di Acre e con il resto del mondo; sorprendentemente le loro problematiche sembrano molto più affini a quelle del resto del mondo che non a quelle specifiche del Brasile.
Nel momento in cui comunità di questo tipo entrano in contatto con altre, lo fanno alle loro condizioni. L’intento è quello di interagire positivamente con gli altri gruppi mantenendo al tempo stesso la propria individualità. Riaffermando il loro radicamento nel territorio, esse partecipano in maniera attiva alla creazione di modelli di coesistenza propri del XXI secolo, in cui il melting pot delle città globalizzate è controbilanciato dalla presenza di centri in cui le persone si isolano volontariamente. Non per niente uno dei modelli più ambiti e di maggior successo del vivere insieme contemporaneo è la gated community: un’entità residenziale su scala ridotta. Ma a differenza delle gated communities, che rappresentano strategie statiche di isolamento e autoreclusione, le nuove territorialità di Acre sono dinamiche e attive: esse interagiscono con il mondo circostante.


Dichiarazione n. 1:
Il mondo deve essere frazionato; la democrazia sta nelle particelle!”

Nel corso degli ultimi vent’anni, l’area di Acre si è frammentata creando alcune nuove territorialità: riserve estrattive, territori degli indios e aree urbane sostenibili, nate dalla collaborazione tra il governo nazionale e le comunità locali, ovvero entità auto organizzate sorte da iniziative intraprese dal basso. Le loro priorità sono: dare più potere alla propria gente (l’istruzione è una delle preoccupazioni principali), praticare uno sfruttamento sostenibile delle risorse forestali e sviluppare un’economia su piccola scala che sia contemporaneamente strumento per la sopravvivenza della comunità stessa (numerose comunità hanno venduto con successo i loro prodotti sul mercato globale) e modello che si oppone all’economia della globalizzazione creata da società e organizzazioni multinazionali.
Le comunità acreane hanno sviluppato un approccio particolare alla proprietà terriera. Nelle nuove territorialità, l’enfasi viene posta non sulla proprietà individuale del terreno o sullo sfruttamento delle risorse estrattive ad esclusivo vantaggio del singolo, ma sulla proprietà collettiva e sulla gestione sostenibile delle risorse naturali a beneficio dell’intera comunità. Qui l’esistenza dell’individuo viene intesa come coesistenza: vivere significa sempre “vivere con” e “io” non ha mai la precedenza su “noi”(l). In breve le nuove territorialità suggeriscono forme di vita comunitaria che vanno al di là del neoliberismo con la sua concezione dell’individuo, della democrazia liberale e del capitalismo di mercato.
Va notato che le nuove territorialità di Acre rappresentano un’alternativa sociale ed economica a quelle cinesi, caratterizzate da economie su larga scala in forte crescita e da una ideologia di progresso. I territori di Acre, al contrario, poggiano su una economia a scala ridotta e i loro abitanti sentono una responsabilità personale sia nei confronti della propria comunità sia nei confronti della collettività mondiale.
In effetti, all’interno delle dinamiche proprie della deregolamentazione e delle strategie di transizione, le nuove territorialità di Acre suggeriscono un diverso raffronto: quello con l’Unione Europea nella sua forma attuale. L’Europa, come entità geopolitica, è in costante espansione, è un corpo in perenne mutamento. Le conseguenze della graduale dissoluzione dello stato sociale e dell’ideologia del multiculturalismo si possono scorgere, all’interno dei suoi confini, in quei territori che si identificano con specifici gruppi etnici o con altri tipi di comunità. Il rifiuto della Costituzione Europea da parte dei cittadini della Francia e dei Paesi Bassi indica il desiderio della popolazione di vivere in una Unione Europea più circoscritta; allo stesso modo l’UE sta studiando un modello in cui le entità regionali facciano da contrappeso allo stato-nazione. Una maggiore enfasi posta sul concetto di “locale” significa prendere molte più decisioni a quel livello e far aumentare le iniziative dal basso. Ma il problema è: fino a che punto è possibile “sottodimensionare” la comunità mondiale?
Le territorialità di Acre sono il risultato di una “decrescita(ll)”, vale a dire il processo per cui la società si frammenta e si “pixelizza” fino al livello di comunità locale e, a volte, anche fino al livello individuale. La saggezza degli anziani ci insegna che nel momento in cui gli individui si assumono la responsabilità di costruire le loro vite, creano al contempo una comunità locale e una comunità mondiale: “Nel momento in cui costruisco la mia vita, costruisco il mondo”. Come ci indicano le territorialità di Acre, le comunità comprendono molto chiaramente le conseguenze di tali pratiche: il ridimensionamento dell’economia e la frammentazione dei territori producono un nuovo tipo di connettività e dunque di sviluppo – una vera crescita anziché una decrescita. Ad Acre le particelle e le identità dei gruppi sono forze della democrazia.


Dichiarazione n. 2: “Insieme dobbiamo crescere e rafforzarci!

Presupposto per cui le comunità prosperino in questi nuovi territori è che prendano la loro forza da una economia sostenibile, dall’esperienza locale (nozione alquanto vaga che comprende l’importanza dell’identità culturale) e dall’istruzione. Le comunità sono convinte che le territorialità più forti abbiano più opportunità di prosperare. Sebbene l’accento anche in questo caso sia posto sull’aspetto locale (esse considerano le comunità rurali come garanzia di maggiore dignità, in contrapposizione al tipo di vita sperimentato dai migranti nei centri urbani), tale concetto non viene tuttavia idealizzato. Le comunità si considerano degli attori all’interno del mondo contemporaneo: devono gettarsi alle spalle il passato coloniale e superare la fortissima spinta alla globalizzazione del presente. La loro è una pratica post coloniale e post neoliberale. Dal loro punto di vista il futuro è nel presente.


Pratica n. 1 : “Insieme diventiamo forti; siamo in contatto con gli altri! Ma per prima cosa dobbiamo isolarci: solo così saremo in grado di collegarci col mondo alle nostre condizioni.”

In effetti, le nuove territorialità di Acre sono forti e consapevoli dei benefici che provengono dalla connessione col mondo. In realtà, il porre l’accento sulla dimensione locale, l’autostima e la possibilità di collegarsi con gli altri formano tra loro un accordo perfetto e non una contraddizione. Penso in particolare ad una iniziativa ancora in corso di alcune tribù indios che hanno pensato di collegare via satellite le zone più remote della loro regione grazie a centri di comunicazione alimentati da energia solare. La prospettiva centro/periferia è capovolta in Acre dove i territori sono concepiti come centri che vogliono connettersi alle proprie condizioni. Gli acreani non si considerano troppo isolati, o quantomeno sembrano apprezzare questo loro relativo isolamento. Si ispirano alla saggezza della foresta per cui il centro è il posto nella foresta in cui il “gioco” – l’opportunità cioè di condurre una vita agiata grazie alla vicinanza delle risorse naturali e delle infrastrutture comunitarie – si fa duro e le continue connessioni col mondo esterno non sono necessariamente un vantaggio; la periferia si trova invece lungo il fiume, dove una persona può avere maggiori collegamenti col mondo esterno ma il “gioco” non è così duro.


Pratica n. 2: “Uniamo l’esperienza locale alla conoscenza hi-tech!

I nuovi territori di Acre sono potenti “centri” con una ricca esperienza locale: bilanciano molto bene isolamento e contatti con il mondo esterno. In un certo modo si possono definire isole perfette: da qui puoi raggiungere chiunque ma non tutti possono raggiungere te. Un’altra cosa molto importante è la pratica dello sviluppo autosostenibile, risultato della perfetta combinazione tra esperienza locale e conoscenza hi-tech. Le soluzioni sostenibili hi-tech aiutano a mantenere alte le condizioni di vita, permettendo di comunicare e di fare commercio anche da una remota regione scarsamente dotata (se non del tutto priva) di infrastrutture energetiche. Attraverso la tecnologia avanzata (come le parabole satellitari ad energia solare) è possibile, almeno nel XXI secolo, che i remoti territori di Acre siano essi stessi dei centri, né più né meno di altri luoghi, grazie all’utilizzo di energia autoprodotta la quale permette la più grande libertà di comunicazione.


Pratica n. 3: “La felicità è crescere a piccoli passi! La nostra è una vita piena di dignità: siamo responsabili di noi stessi e degli altri!

I promotori dell’estrazione sostenibile delle risorse forestali vedono nell’economia su scala ridotta sia un mezzo per la loro sopravvivenza sia un nuovo modello economico necessario alla sopravvivenza del pianeta e della società in generale. Nella regione di Acre i cliché acquistano un significato reale: “la sopravvivenza della foresta pluviale è la sopravvivenza della terra; la foresta pluviale è l’ultima frontiera; il mondo è un’unica comunità”. È come se il governo e la popolazione di Acre avessero una missione. Ma il futuro del mondo dipende davvero dai territori gestiti localmente e da economie su scala ridotta che fanno da contrappeso alle forze globalizzate di società e organizzazioni multinazionali? Le persone di Acre con le quali ho parlato sono convinte di sì. Ma anche qui c’è un Comma 22, un’ovvia contraddizione che risiede proprio nel concetto di sostenibilità. Mentre ogni estrazione non sostenibile delle riserve forestali avrebbe conseguenze terribili non solo su queste comunità ma sul mondo intero, tutti gli sforzi tesi a raggiungere uno sviluppo autosostenibile delle foreste attraverso un’economia su scala ridotta pongono delle sfide non indifferenti.


Pratica n. 4: “Proteggiamo ciò che ci appartiene! Il cupuaçu è nostro!

La protezione dei nuovi territori è un must, non solo perché la lunga storia di queste culture è costellata di abusi – il che provoca come reazione naturale un atteggiamento autoprotettivo da parte degli abitanti del luogo – ma anche a causa della continua minaccia della biopirateria. Il furto illegale delle risorse naturali in una regione la cui enorme ricchezza è data dalla biodiversità, spazia dal famoso furto dei semi dell’albero della gomma al recente caso di una società giapponese – una tra le tante – che ha cercato di brevettare il cupuaçu, il frutto caratteristico della zona. L’isolamento di questi luoghi non garantisce tuttavia una protezione adeguata dei territori. Se i visitatori ad una riserva estrattiva sono fondatamente considerati con scetticismo, in quanto si ha paura che possano essere coinvolti in casi di biopirateria, la visita ad una tribù amerindia sarà estremamente difficile da organizzare. In questo modo le territorialità ci richiamano alla mente le città-stato fortificate del Rinascimento italiano o i territori contesi della West Bank. Davvero la pratica degli acreani di piantare alberi come confine e protezione a difesa del proprio territorio, rispecchia la stessa consuetudine dei palestinesi e dei coloni ebrei prima dell’erezione del muro di separazione da parte degli israeliani. Tuttavia, sebbene le territorialità acreane possano ricordare le città fortificate esse non sono per nulla sigillate; anzi, i confini di questi territori sono porosi e permettono, anzi incoraggiano, gli interscambi. Ogni precisa delimitazione di confini territoriali è sottoposta a continui cambiamenti per la semplice ragione che i fiumi modificano costantemente il loro corso e i villaggi si trasferiscono altrove alla ricerca di risorse naturali. E qui nasce la contraddizione: queste potenti territorialità sono in effetti fragili territori. Per essere in grado di esistere e prosperare sono costrette a rimanere costantemente in comunicazione con il mondo e a negoziare con i propri vicini.


Pratica n. 5: “Non siamo oggetto di studio! Vogliamo condividere il nostro sapere in condizioni di eguaglianza! In un mondo orizzontale anche l’istruzione deve essere orizzontale! A ogni gruppo la propria educazione! Noi siamo unici!

L’istruzione, la conoscenza e la condivisione del sapere sono problematiche fondamentali per le nuove territorialità. Abbiamo imparato che la ricchezza dell’educazione, sebbene possa sembrare immateriale, è ciò che garantisce la ricchezza materiale di una nazione. Le nuove territorialità di Acre, benché ricche di risorse naturali e intellettuali, non possono sperare di fornire il livello di istruzione richiesto dal mondo ricco. Tuttavia, essendo estremamente creativi, gli acreani hanno organizzato le cose in maniera diversa. Lo scopo è personalizzare l’istruzione di particolari gruppi all’interno della comunità. Le gerarchie prestabilite sono messe in discussione e l’educazione viene organizzata in modo che abbia un senso per la comunità. Le scuole e le conoscenze locali sono protette e amate, proprio come i territori.
Due collaborazioni, che trovo particolarmente illuminanti, sono attualmente in corso nella regione di Acre. La prima coinvolge le comunità locali e il governo e consiste nella costruzione di scuole elementari in zone remote. Una scuola-tipo di questo genere è dotata di pannelli solari e di una parabola satellitare, in altre parole dispone di una fonte di energia e di un mezzo di comunicazione con il mondo esterno. La seconda riguarda l’istruzione superiore: si tratta dell’Università della Foresta il cui scopo è di mettere insieme le conoscenze dei raccoglitori di gomma, degli indios, degli accademici e degli scienziati per unire l’esperienza locale alla scienza occidentale. Questo ha certamente un senso: in fondo il Brasile è un paese hi-tech dove la conoscenza di quelli che vivono nelle foreste non viene insegnata nelle scuole ma sperimentata sul campo. Gli indios e i raccoglitori di gomma, veri custodi della foresta, non vogliono essere un oggetto di ricerca ma vogliono dare il loro contributo, su basi paritarie, alla nostra conoscenza comune.


Dichiarazione n. 3: “Negli anni Sessanta riflettevamo, ora siamo passati all’azione!

“Cosa significa vivere una vita responsabile e dignitosa oggi?” Mi rendo conto che le strutture comunitarie di Acre non sono state concepite come modello per altre comunità. In questo articolo ho voluto solo illustrare il loro modo di vivere: la pratica di un’esistenza sostenibile. Le loro strategie mi ricordano altre esperienze del XXI secolo come quelle, ad esempio, dei nuovi stati dei Balcani occidentali sorti dal collasso della Jugoslavia negli anni ’90. Allo stesso modo di Acre, questa regione è stata frammentata in piccoli territori che si sono rinnovati mettendo in pratica e portando avanti obiettivi simili. In entrambi i casi il ridimensionamento ha prodotto, per contrasto, un’estensione: queste particelle, queste identità di gruppo non sono statiche e ripiegate su se stesse ma dinamiche e aperte al mondo esterno. Credo che mondi lenti e mondi veloci possano esistere simultaneamente all’interno di realtà parallele. A me sembra che i Balcani occidentali e la regione di Acre siano il mondo veloce, che in qualche modo siano più avanti degli altri. Perciò è possibile per noi imparare dalle loro esperienze.




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(l) J.L. Nancy: Essere singolare plurale, Einaudi, Milano, 2001.

(ll) S. Latouche, “Why less should be so much more: Degrowth economics”, in Le Monde diplomatique, novembre 2004, http://mondediplo.com/2004/11/14latouche (visto il 9 giugno 2006).

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