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  Arte Ecologia Sostenibilità / 24.04 – 19.07.2009
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  METRICA O ESTETICA?
John Thackara
   
  Introduzione: valutare ciò che conta

“Questi sono i miei principi. Se non vi piacciono, ne ho altri”. La frase di Groucho Marx avrebbe anche potuto riferirsi ai criteri ambientali. Il nostro mondo è inondato di eco-informazioni, a volte prive di significato. Centinaia di organizzazioni sfornano fiumi di rapporti, grafici, studi ma soprattutto di elenchi.

Quanti elenchi! Io dovrei essere un esperto di sostenibilità, ma mi viene ancora mal di testa quando cerco di tenermi al corrente su questioni come la Triple Bottom Line, i tre principi di base (e le quattro condizioni di sistema) di The Natural Step, i dieci principi guida di One Planet Living, le tre forme di solidarietà del World Wildlife Fund, i dieci fondamenti per una città sostenibile del programma di Copenhagen, gli otto accessi del Sustainable Schools Network, i dodici indicatori dell’Earth Policy Institute, gli undici criteri per una città sostenibile (sviluppati da Montreal) e i dieci principi di Hannover promulgati da Bill McDonough.

Ciascuno di questi elenchi è il risultato di una riflessione approfondita condotta da persone intelligenti e impegnate, e di sicuro ne ho omessi altri importanti. Ma non vi sembrano già abbastanza?
La diffusa tendenza dei politici alla dissimulazione contribuisce ad aumentare l’incertezza. Vaghe promesse di usare “meno risorse naturali possibile”, “ridurre al minimo i rifiuti” o organizzare “le Olimpiadi più verdi della storia” amplificano la nostra preoccupazione che non si faccia abbastanza, e che quel che effettivamente si fa non venga fatto abbastanza rapidamente.
Come valutiamo ciò che è "sostenibile”? Che tipo di criterio utilizziamo? Quanto ci vuole per arrivare da qui a lì? E quanto tempo abbiamo per percorrere questa distanza?

Nella transizione verso un’economia e una società più equilibrate, dobbiamo prendere in seria considerazione i numeri e la metrica. Come altro potremmo valutare quanto ci vuole per arrivare da qui a lì? Questo però non significa che i numeri siano l’unica cosa che conta. Ciò di cui abbiamo bisogno è invece una nuova sintesi di metrica ed estetica per capire non soltanto il “cosa” ma anche il “perché”.


Oltre il PIL

I numeri di per sé non sono significativi se non valutiamo ciò che è realmente importante.
Da generazioni il prodotto interno lordo (PIL) rappresenta il criterio di valutazione prevalente dei risultati economici, mentre crescita, produttività e occupazione sono stati assunti come gli indici più appropriati per misurare il benessere e la felicità.
Il fatale difetto del PIL in quanto criterio di valutazione di progresso è dato dal fatto che esso non tiene conto né delle risorse naturali e degli ecosistemi, né del capitale sociale o umano. Nel PIL si assume che il capitale naturale e sociale sia libero ed efficacemente illimitato. Legata com’è a istituzioni e modelli economici, questa visione garantisce la non sostenibilità della nostra economia.

Ma economisti e ricercatori progressisti non sono stati con le mani in mano dopo la pubblicazione nel 1972 de I limiti dello sviluppo(l) e finalmente, dopo lunghi periodi di gestazione discreta, stanno emergendo sistemi alternativi di valutazione economica. Con la crisi finanziaria attuale, forse è proprio il momento giusto: mentre un sistema implode, un altro è pronto a prendere il suo posto.
Questi nuovi modelli presuppongono una valutazione più completa del benessere umano e ambientale. Con nomi come “impronta ecologica”, “indice dello sviluppo umano”, “indice del pianeta felice” e “indice del progresso genuino”, essi forniscono gli elementi di un modo di vedere, valutare e agire nel mondo che va oltre il Prodotto interno lordo.


L’economia dei cambiamenti climatici

La prima iniziativa di rilievo è stata la pubblicazione, alla fine del 2006, del Rapporto sull’economia dei cambiamenti climatici di Sir Nicholas Stern, ex capo economista della Banca mondiale. Questo documento lungo e distaccato ma denso di significato ha segnato un passaggio fondamentale nella percezione dei cambiamenti climatici da parte dei governi, non solo perché le conclusioni di Stern corrispondono ampiamente a ciò che gli ambientalisti andavano dicendo da 35 anni ma anche perché il rapporto è stato commissionato dal Tesoro, che controlla la tassazione e il denaro britannico. E quando ci sono di mezzo i soldi, bisogna assolutamente fare qualcosa!
Stern apre la strada alla possibilità che i cosiddetti costi “esterni” vengano calcolati per la prima volta nel bilancio nazionale. Com’è noto, gli economisti definiscono costi “esterni” risorse quali l’acqua, i minerali e la biosfera in generale, di cui finora non si è tenuto conto in maniera adeguata. L’economia tradizionale considera una parte dell’energia usata per sfruttare le risorse, ma non paga per intero l’energia o le risorse. I governi possono usare la tassazione e le norme fiscali per far sì che questi cosiddetti costi “esterni” diventino interni e siano assunti dal produttore. Le materie e l’energia che fluiscono nel sistema dovranno essere pagate per intero anziché essere considerate un omaggio dovuto. Questi profondi mutamenti strutturali non sono ancora stati implementati, ma il modello economico illustrato nel rapporto Stern potrà dar vita a cambiamenti che influenzeranno in maniera sostanziale il nostro modo di vivere.


L’economia degli ecosistemi e della biodiversità

Due anni dopo il Rapporto Stern, la Deutsche Bank e la Commissione Europea hanno pubblicato uno studio condotto da Pavan Sukhdev dal titolo L’economia degli ecosistemi e della biodiversità (TEEB). Presentando “un’argomentazione economica esaustiva e inoppugnabile in favore della conservazione della biodiversità”, il TEEB aiuta a comprendere meglio il reale valore economico dei benefici che riceviamo dalla natura.
“La natura fornisce alla società umana un’ampia gamma di benefici quali cibo, fibre, combustibile, acqua pulita, terra fertile, protezione dalle inondazioni e dall’erosione del suolo, medicine, riserve di carbonio (importanti nella lotta contro i cambiamenti climatici) e molto altro”, inizia il rapporto TEEB. Benché il nostro benessere dipenda totalmente da questi servizi ecosistemici, essi sono prevalentemente “beni pubblici” privi di prezzi e di mercati e “spesso non vengono identificati dalle analisi economiche attuali”.

Il TEEB arriva appena in tempo. Il mondo sta assistendo a una perdita di biodiversità negli ecosistemi che non conosce precedenti. Il 10-30% circa di tutti i mammiferi, gli uccelli e le specie anfibie è in pericolo di estinzione. Un’importante causa di questa perdita è la distruzione degli habitat naturali per effetto di uno “sviluppo economico” basato sull’agricoltura, la silvicoltura, il petrolio e del gas, lo sfruttamento minerario, i trasporti e le costruzioni.
Secondo il TEEB, l’economia globale è più danneggiata dalla scomparsa delle foreste che dalla crisi finanziaria. Il rapporto valuta il costo della perdita di aree boschive tra i 2 e i 5 mila miliardi di dollari l’anno, una cifra che risulta addizionando il valore dei vari servizi resi dalle foreste, quali la fornitura di acqua pulita e l’assorbimento del diossido di carbonio. Con il declino delle foreste, la natura smette di fornire servizi che prima accordava essenzialmente a costo zero. Sarà quindi l’economia umana a dover supplire, magari costruendo bacini idrici o strutture per sequestrare biossido di carbonio o coltivando alimenti che un tempo erano disponibili in natura. Oppure dovremo fare a meno di tutto questo. In entrambi i casi, bisognerà sostenere un costo finanziario.

Questo spaventoso tasso di perdita è dovuto alle pressioni derivanti dalla crescita demografica, dal cambiamento dei regimi alimentari, dall’urbanizzazione e dai mutamenti climatici. La biodiversità si sta riducendo, i nostri ecosistemi subiscono un degrado continuo e noi ne subiamo le conseguenze. Come spiega Sukhdev, "stiamo cercando di navigare in acque inesplorate e turbolente con una bussola antiquata e imperfetta e questo influisce sulla nostra capacità di plasmare un’economia sostenibile in armonia con la natura".

Il TEEB può essere la molla in grado di trasformare la maniera in cui l’attività economica valuta, e di conseguenza protegge, queste risorse essenziali alla vita. Dopotutto l’industria delle bibite dipende dagli ecosistemi per fornire acqua potabile, il settore agroindustriale ha bisogno dei pascoli per gli insetti impollinatori, il ciclo dei nutrienti e il controllo dell’erosione; l’industria delle assicurazioni beneficia del fatto che le paludi costiere riducono i danni provocati dagli uragani e che le zone acquitrinose assorbano l’acqua delle inondazioni.

http://idw-online.de/pages/en/news?id=262707

http://www.wri.org/stories/2008/03 /
companies-respond-ecosystem-degradation

http://www.bmu.de/english/nature/
un_conference_on_biological_diversity_2008/papers/doc/41608.php



La banca della biodiversità

Il Rapporto Stern e il TEEB presentano nuovi modi di valutare gli impatti ecologici dell’attività economica su larga scala. Sono stati inoltre approntati nuovi strumenti per aiutare le singole società a misurare l’impatto delle loro operazioni quotidiane sugli ecosistemi.
È probabile che questi strumenti vengano applicati. Le aziende si aspettano di essere sottoposte a un monitoraggio più intenso e accurato, non solo per l’inquinamento che possono causare ma, in senso più ampio, per gli impatti negativi o positivi sugli ecosistemi delle aree in cui operano o traggono risorse. Oltre alla regolamentazione, le aziende devono affrontare le pressioni indirette da parte di investitori, assicurazioni, attivisti, dipendenti e comunità limitrofe. http://www.bsr.org/reports/BSR_EMI_Tools_Application.pdf


Uno di questi strumenti è la “banca della biodiversità”. Si tratta di un modello che consente di misurare la biodiversità in maniera affidabile e attribuire un valore monetario a quei servizi ecosistemici che vengono colpiti da soluzioni di mercato. Le sue prime applicazioni pratiche hanno riguardato lo sviluppo immobiliare. Poiché il disboscamento e l’edilizia riducono i valori della biodiversità, si sta chiedendo ai costruttori di bilanciarne la perdita. Negli Stati Uniti, per esempio, i costruttori sono obbligati a evitare di causare danni alle paludi, ma se si giunge alla conclusione che quel danno è inevitabile, allora bisognerà proteggere, migliorare o risanare altre paludi con funzioni e valori simili, a compensazione di quelle che saranno danneggiate. http://en.wikipedia.org/wiki/Biodiversity_banking
Alcune organizzazioni per la conservazione avvertono che la compensazione della biodiversità potrebbe essere usata dai costruttori e dalle autorità governative per legittimare sviluppi inadeguati. La piattaforma economica chiamata Programma di compensazione tra attività economiche e biodiversità (BBOP) risponde che la compensazione della biodiversità non solo riabilita i siti ma “affronta il problema dell’impatto di un’azienda sulla biodiversità a scala di paesaggio”. Il dibattito è tuttora in corso.
http://www.forest-trends.org/biodiversityoffsetprogram/offsets.php

Il rapporto di Business for Social Responsibility (BSR) dal titolo "Valutare l’impatto aziendale sugli ecosistemi: un esame esaustivo dei nuovi strumenti", stilato nel dicembre 2008, analizza una serie di altri strumenti. Nell’introduzione, BSR sottolinea che un secolo fa non esistevano le decine di valutazioni macroeconomiche a disposizione oggi. “Le circostanze della Grande Depressione non potevano essere affrontate senza strumenti e misurazioni nuove. Lo stesso può dirsi per le questioni ambientali che ci troviamo ad affrontare adesso”.
L’interessante gamma di strumenti esaminati da BSR – trenta in tutto – include tra gli altri Artificial Intelligence for Ecosystem Services (ARIES); Ecosystem Services Review (ESR); Global Environmental Management Initiative (GEMI); Integrated Biodiversity Assessment Tool (IBAT); Multi-scale Integrated Models of Ecosystem Services (MIMES); la Natural Value Initiative (NVI). http://www.bsr.org/reports/BSR_EMI_Tools_Application.pdf


Opporsi al greenwash

I nuovi sistemi e strumenti di valutazione descritti sono importanti sia sul piano macroeconomico sia a livello aziendale. È tuttavia utopistico aspettarsi che i singoli cittadini conoscano questi sistemi e li utilizzino. Al contrario, essi sono sommersi da una massa di dati confusi. Oggigiorno qualsiasi supermercato contiene centinaia di etichette e avvisi che proclamano le caratteristiche ambientali di diversi prodotti: organici, equosolidali, certificati FSC, "sostenibili". Questa pioggia di dichiarazioni crea smarrimento, in alcuni casi per effetto di una volontà deliberata. Alcune aziende pubblicizzano prodotti e servizi con requisiti ambientali falsi, privi di fondamento o immorali.

Si parla di greenwashing quando le aziende (o i governi) investono più denaro per affermare le loro credenziali ecologiche che non per modificare le loro pratiche. Nel mercato del consumo, il greenwashing implica spesso cambiamenti alla marca e/o all’etichetta. I primi segni di greenwashing sono dati dall’apparizione di alberi, uccelli o gocce di rugiada nelle informazioni e sulla confezione del prodotto. Se sulla scatola sono presenti tutti e tre, è probabile che il prodotto vi provochi un’irritazione alla pelle nel giro di qualche secondo.

È in corso uno studio delle misure per affrontare il problema del greenwashing. In Gran Bretagna, per esempio, il Carbon Trust e il governo stanno lavorando con il BSI British Standards per co-sponsorizzare lo sviluppo di una specifica pubblica (PAS - Publicly Available Specification), ovvero un metodo standard per misurare le emissioni di gas serra incorporate in prodotti e servizi relativi a un’ampia gamma di categorie di articoli e alla loro catena logistica. Lo scopo è far sì che le aziende siano in grado di misurare l’impatto dei loro prodotti in termini di emissioni di gas serra e cambiamenti climatici e conoscano le opportunità di ridurre significativamente le emissioni.
Il governo britannico ha inoltre istituito un marchio di conformità per i modelli di compensazione del carbonio che, come i modelli di compensazione della biodiversità citati in precedenza, sono oggetto di critica in quanto offrono livelli di servizi altamente variabili. Alcuni compensano le emissioni acquistando crediti di carbonio nell’ambito di modelli riconosciuti a livello internazionale, ma altri non spiegano con chiarezza come sarà investito il denaro. http://www.bsi-global.com/en/Standards-and-Publications/
How-we-can-help-you/Professional-Standards-Service/PAS-2050/



L’economia della felicità

Per vincere la sfida della sostenibilità, è necessario che il progresso economico sia calcolato sostituendo la crescita intensiva con la felicità e il benessere.
Nel 2008, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto a due premi Nobel, l’indiano Amartya Sen e lo statunitense Joseph Stiglitz, come modificare la maniera in cui viene calcolata la crescita economica francese. “Dobbiamo cambiare il modo in cui calcoliamo la crescita” ha detto Sarkozy invocando (in modo poco plausibile) una “moralizzazione del capitalismo”. Il presidente ha poi aggiunto che “il modo in cui si calcola il prodotto interno lordo dovrebbe tener conto della qualità della vita in Francia”.

Amartya Sen ha vinto il premio Nobel nel 1998 per aver sviluppato vent’anni fa (insieme al pachistano Mahbubul Haq) l’Indice di sviluppo umano. Come ha spiegato un altro riformatore, l’“anti-economista” Hazel Henderson, “nella nostra economia tutto ha un prezzo ma niente sembra avere valore. I parametri che abbiamo scelto per calcolare il ‘progresso’ sono di tipo economico: margine, PIL, occupazione, indice Dow Jones, prime rate. Tutto il resto – la salute dei nostri figli, l’aria pulita, la sicurezza delle nostre comunità, il senso di appartenenza e di scopo – deve stare sullo stesso piano. I danni ambientali o la pressione sui lavoratori non vengono per nulla presi in considerazione in queste misure economiche".
Potrò sembrare cinico, ma sospetto che il presidente francese abbia in mente di aggiungere il benessere del paese al PIL, e non di sostituire l’uno all’altro. La mossa di Sarkozy resta comunque un passo significativo nella lotta per cambiare il modo in cui misuriamo il successo economico.
È attualmente allo studio anche una metodologia per valutare il capitale sociale. Il concetto di Ritorno sociale sull’investimento (SROI) è stato sviluppato per aiutare le imprese sociali ad attribuire un valore monetario ai futuri benefici delle loro attività, così da poter spiegare agli azionisti come (e dove) si crea valore sociale senza limitarsi a dire “investite su di noi perché siamo bravi”.

http://www.sroi-uk.org/

http://www.socialcapitalpartnerships.com/pdf/Kroger_Presentation_051707.pdf

http://www.hbs.edu/centennial/conversation/futureofsocialenterprise/



Hazel Henderson, da oltre trent’anni una delle principali promotrici di misure economiche alternative, ha di recente preso parte a una conferenza del Parlamento Europeo intitolata “Oltre il PIL”, organizzata dalla Commissione Europea, dal Parlamento Europeo, dal Club di Roma, dal WWF e dall’OCSE. “Sono stati presentati centinaia di indicatori nuovi e più completi della crescita nazionale”, riferisce la studiosa. Questi includevano “gli Indicators of Social and Economic Welfare (ISEW), il Canadian Index of Wellbeing (CIW), il Genuine Progress Index (GPI), l’Happy Planet Index (HPI) e il Gross National Happiness (GHI) of Bhutan”. Altre regioni e città hanno già prodotto i propri indicatori, ha riportato la Henderson, compresi Seattle, Jacksonville, Florida e San Paolo del Brasile. http://www.scielo.br/pdf/csp/v23s4/04.pdf

“La diga ha rotto gli argini” ha dichiarato. “La pressione pubblica ha finalmente fatto emergere il tanto atteso dibattito ‘Oltre il PIL’”. La studiosa è certa che l’ampliamento dei parametri per la valutazione della crescita porterà i paesi verso forme sostenibili di vera crescita e ricchezza. http://chelseagreen.com/blogs/hazelhenderson/2009/02/19/
“worldwide-support-found-for-measuring-true-wealth-of-nations”/



Metrica o estetica?

Nel libro Collapse, Jarred Diamond spiega che le società falliscono quando le élite sono isolate dall’impatto negativo delle loro azioni. Diamond fa l’esempio dell’Isola di Pasqua, dove l’eccessivo sfruttamento del legno ha finito per distruggere le prospettive di sopravvivenza della popolazione.
La lezione si applica anche a noi oggi. A livello culturale, siamo ammaliati da un concetto entropico di qualità e performance che ci porta a sprecare quantità astronomiche di energia e risorse materiali. Siamo assetati di velocità, perfezione e controllo, ma non riusciamo a vedere quale sia il vero costo da pagare per avere tutto questo.

Lo sviluppo economico tende a vedere le risorse umane, culturali e territoriali – la gente e i modi di vita già esistenti – come ostacoli al progresso e alla modernizzazione. Una grande realtà industriale misura il progresso in termini di crescita economica e aumento dei consumi e presuppone senza dubbi che l’urbanizzazione e l’intensità dei trasporti siano indici di progresso. Lo sviluppo tende a svalutare il contributo umano e a sostituire le persone con l’automazione tecnologica e il “fai da te”.

La nostra cecità collettiva è dovuta in parte al fatto che molti dei comportamenti che implicano sprechi non sono visibili. Molte azioni dannose che compiamo ogni giorno sembrano di per sé banali: lasciare la luce accesa, stampare una mail, mangiare un piatto di fagioli kenioti. Il dilemma, finora, è che la maggior parte di questi comportamenti sono stati giudicati positivi nella metrica del consumo.
La nostra percezione del cambiamento attraverso il tempo è particolarmente debole. Il nostro stile di vita è minacciato da mutamenti che nell’arco di anni o decenni incidono sul nostro sistema di sostentamento, ma noi tendiamo a non notare i cambiamenti che avvengono in periodi di tempo tanto lunghi. Dobbiamo concepire nuovi modi di guardare il mondo e agire all’interno di esso, una nuova estetica della sostenibilità che ci aiuti a vedere per esempio un aeroporto non solo in termini di forme o di prestazioni, ma anche di energia incorporata.

Da quando nel 1995 ho organizzato Doors of Perception 3 su "info eco", ci siamo chiesti più volte quanto ci vorrebbe per monitorare e misurare la vera condizione del pianeta – i suoi segni vitali, insomma – in tempo reale. Da allora, negli anni ci sono stati presentati ausili percettivi talvolta splendidi che avevano l’obiettivo di farci comprendere la condizione dei sistemi naturali invisibili dai quali siamo circondati. http://museum.doorsofperception.com/doors3/doors3index.html

Poi, in Dott 07, un programma di progetti sostenibili riguardanti l’Inghilterra, abbiamo avviato un’iniziativa chiamata Segni vitali. Ci siamo chiesti: “Cosa comporterebbe monitorare i segni vitali della regione in tempo reale? Come possiamo progettare indicatori per esaminare impronta ecologica, uso energetico degli edifici, food miles, intensità dei trasporti e densità abitativa accanto ai tradizionali indicatori economici? Quali tecnologie possiamo usare per ideare strumenti di benchmarking e comunicare la nostra crescita?".

La conclusione, dopo queste e altre esperienze, è che abbiamo bisogno sia della metrica che dell’estetica. L’educazione di domani deve implicare processi e sistemi. Usando questa nuova sensibilità, dobbiamo ideare nuovi ausili percettivi per comprendere lo stato dei nostri sistemi naturali, umani e industriali. Nuovi tipi di visioni, suoni, simboli ed esperienze potrebbero dirci come questi sistemi funzionano, cosa li stimola, e come e perché cambiano nel tempo. Dobbiamo percepire l’energia totale incorporata nei prodotti che usiamo ogni giorno. Dobbiamo imparare a comprendere i sistemi e i loro comportamenti sviluppando un apprezzamento positivo di sistemi integrati.

L’estetica crea il bisogno. La metrica calcola il cambiamento richiesto. Il design fornisce i mezzi.

Per passare alla sostenibilità non bastano i messaggi ma c’è bisogno di azioni. Poiché i designer professionisti lavorano quasi tutto nel campo della rappresentazione, la loro prima reazione è stata di ideare un poster sulla sostenibilità o lanciare una campagna mediatica. Ma diffondere slogan, per quanto intelligenti ed evocativi, non equivale ad aiutare le personali in carne e ossa che abitano in posti veri, cambiando un aspetto della loro realtà materiale quotidiana.

www.doorsofperception.com
www.thackara.com





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(l)I limiti dello sviluppo (titolo originale The Limits to Growth), apparso nel 1972 e commissionato dal Club di Roma, delinea le conseguenze della rapida crescita della popolazione mondiale in un pianeta dotato di risorse finite.

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