Lo Shopping Centre di un quartiere a sud di Londra, in pieno giorno. Una donna balla in modo sfrenato, estatico. I movimenti incontrollati della danza, eseguita dall'autrice del video Gillian Wearing, contrastano nettamente con l'architettura circostante, che ha un unico senso e una sola finalità: spingere le persone all'acquisto. L'ambiente appare distaccato tanto quanto gli esseri umani che si muovono al suo interno. Le reazioni della gente alla performance dell'artista sono fredde, prive d'interesse, nessuno dei passanti interviene in qualche modo nell'azione. Anche nel video Dancing in Peckham Gillian Wearing si concentra sul momento della rivelazione di un universo emotivo che spesso rimane celato nella vita quotidiana all'interno della società. Il video nasce da un episodio cui l'artista stessa ha assistito: una sera, durante un concerto jazz, rimase colpita da una donna che ballava in modo sfrenato tra il pubblico, astraendosi completamente dal ritmo della musica e dal mondo circostante, muovendosi in un mondo separato e tutto suo. È proprio questo momento liberatorio, di perdita del controllo che l'artista vuole rappresentare nel suo lavoro, mettendo così in discussione la "normalità" della nostra esistenza quotidiana, costantemente sottoposta a precise norme e vincoli sociali.
La complessità delle relazioni umane è uno dei temi centrali dell'opera di Gillian Wearing. L'artista si ispira a documentari televisivi e soap, che rimette in scena con persone reali. In video come Drunk (1999), che presenta quattro uomini senza fissa dimora, o Signs that say what you want them to say and not Signs that say what someone else wants you to say (1992-93), composto da interviste spontanee ai passanti, Wearing invita la gente a esprimere a parole cose che normalmente vengono taciute. La macchina da presa è il mezzo tecnico tanto della documentazione, quanto della messa in scena: porta così alla luce lati nascosti della società, vissuti soltanto in privato e in pubblico occultati dietro una maschera di autodifesa. Anche nelle sue opere, tuttavia, la misura in cui ciascuno esponga effettivamente se stesso rimane questione aperta: ogni presentazione del nostro io ad altri è anche una rappresentazione. E la rappresentazione di sé tiene sempre conto della presenza dell'interlocutore (e della macchina da presa), rimanendo così sul piano dell’esibizione.
Gillian Wearing (Birmingham, 1963) fa parte del gruppo degli Young British Artists, che riunisce artisti come Damien Hirst, Sarah Lucas, Douglas Gordon e Tracey Emin. Nel 1997 ha ricevuto il prestigioso Turner Prize. Ha tenuto mostre personali al Kiasma, Museum for Contemporary Art di Helsinki, al Museum of Contemprary Art di Chicago, alla Collezione Goetz di Monaco, alla Serpentine Gallery di Londra. Ha partecipato anche a mostre collettive: alla Collezione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, alla K 21, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, al Guggenheim Museum di New York. Le sue opere sono presenti alla Galleria d´Arte Moderna di Torino, all'Irish Museum of Modern Art di Dublino, alla Kunsthalle di Amburgo, al Mart Trento e Rovereto, al MUSAC Leon (Spagna), alla Collezione Goetz di Monaco. |